Categories: Opinioni & Commenti

La sorprendente attualità dell’educazione civica

di Marco Guggiari

Lo spunto del primo dei due convegni organizzati venerdì scorso dal Comune di Como sulla Costituzione, nell’ambito dell’iniziativa promossa dall’Anci (l’Associazione dei Comuni italiani) per la reintroduzione nelle scuole dell’insegnamento dell’educazione civica come educazione alla cittadinanza, è buono per parlare della Carta, dei valori educativi e dei giovani a cui la proposta è rivolta.

Prima ancora che di Costituzione, i due relatori, il magistrato Giuseppe Battarino e il docente di Antropologia filosofica Fabio Gabrielli, hanno fornito alcune preziose chiavi di lettura e di orientamento agli studenti intervenuti nel salone della Biblioteca comunale di Como. Eccone un paio, tra le tante, utili a fornire una mappa minima per muoversi nella giungla odierna che prospera di semplificazione e di individualismo assoluti.

Il magistrato Battarino ha ricordato che la Costituzione è fatta di controlli e di bilanciamenti (i famosi pesi e contrappesi) per sottolineare che si progredisce nella complessità, non nella semplificazione e nella guida di un solo pilota.

Fabio Gabrielli ha piacevolmente sorpreso il pubblico giovane improntando il suo intervento alla relazione, che a suo dire sta all’origine di tutto. Il concetto è chiaro: sapersi relazionare come persone e come cittadini significa anche e di conseguenza relazionarsi in modo responsabile nelle comunità, inclusa quella più ampia: la comunità statale. Gabrielli ha però lanciato un avviso a tutti i naviganti, ribaltando, per così dire, l’impostazione più tradizionale: «I totalitarismi – ha detto – nascono quando qualcuno pretende di trattenere i nostri desideri». Per poi concludere: «La vocazione va rispettata».

In tutto questo e nel tema assegnato al convegno (“Perché la Costituzione: dal totalitarismo alla democrazia”) va recuperato anche lo spirito dei padri costituenti. Appartenevano a partiti differenti e si richiamavano a ideologie diverse, ma il loro osservatorio non era quello, angusto e ristretto, del potere. Era l’osservatorio della sofferenza. Venivano dall’esperienza della dittatura che aveva negato ogni libertà, dalle rovine della guerra. Avevano chiara la priorità: trovare un terreno comune attraverso il dialogo, accettando di rinunciare al massimo delle proprie legittime aspirazioni in nome di ciò che poteva fondare la casa di tutti. E così avvenne, con il riconoscimento di diritti e libertà, non concessi, ma appunto “riconosciuti” in quanto pre-esistenti, appartenenti al diritto naturale e sottratti alla disponibilità statuale. E con la sottolineatura dei doveri. Tutto un mondo da riscoprire. Non soltanto dai giovani.

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