di Marco Guggiari
In tutti questi anni ci hanno detto fino allo sfinimento che è meglio fare vicino le cose che si possono gestire in questo modo. È il concetto della sussidiarietà, giusto e condivisibile. Poi è venuta la pandemia e sono emerse contraddizioni e problemi, vicini e lontani, regionali e statali. Prendiamo un tema che incide profondamente sulle nostre vite ed è salito alla ribalta in questi giorni: la sanità.
Nel 2015 la nostra Regione aveva varato una riforma, con la Legge numero 23. Le nuove norme, al posto delle Asl, ci avevano regalato le Ats (Aziende di tutela della salute). Ne sono nate otto in tutta la Lombardia. Nel nostro caso è sbocciata l’Ats Insubria, non proprio vicinissima a noi dal momento che buona parte della provincia di Como è da allora accorpata a Varese. Questa riforma prevedeva una fase di sperimentazione quinquennale, ora conclusa. Una foglia di fico che in fondo tradiva la consapevolezza di aver varato un probabile pasticcio.
Adesso infatti arriva il contrordine, la retromarcia degli stessi partiti in maggioranza alla Regione, che già allora lo erano e avevano voluto la riforma. Si torna indietro, meglio un’Ats tutta lariana. Il consiglio comunale di Como ha approvato in tal senso una mozione fortemente voluta proprio da forze politiche che recitano due parti in commedia. L’unione con Varese si è rivelata incongrua. E anche un po’ gregaria per Como. E le Ats, in Lombardia, non hanno garantito cure migliori.
Mai a memoria d’uomo, in Italia e nella nostra regione, si è pensato e agito per una controriforma in tempi tanto rapidi. Si era passati dal fare più vicino le cose possibili a fare le stesse un po’ più lontano. Non era difficile capire che le cose sarebbero peggiorate, ma la “genialità” di qualcuno non se n’è curata. L’Ats Insubria è un’area vasta, popolata da oltre un milione di cittadini, per niente omogenea, che non è servita agli interessi dei comaschi, tutt’altro. Il suo meccanismo ha penalizzato i medici di medicina generale e soprattutto i cittadini. Qualche anno fa abbiamo anche assistito al paradosso dei residenti nei territori di una parte del lago e delle valli comasche che dovevano fare riferimento all’Ats di Sondrio, decine di chilometri lontano da casa. Una follia. Con l’eliminazione del radiologo di turno di notte all’ospedale di Menaggio. Così, in caso di infortunio, gli accertamenti e le cure del caso erano ubicati più lontano. Poi, nel 2018, il problema si è risolto riportando Menaggio a Como.
Senza il Covid e i suoi 1.600 poveri morti nella sola nostra provincia, probabilmente la spinta politica alla revisione sarebbe mancata.
La speranza è che adesso, qui come altrove, non ci si limiti a un piccolo cambiamento. La sanità va profondamente trasformata e rinnovata. Deve davvero migliorare. Deve garantire tempi certi per le prestazioni. Deve prevedere ambulatori che stacchino dalla necessità di fare sempre riferimento agli ospedali. È la famosa medicina territoriale, o di base: presìdi sociosanitari collegati agli ospedali, ma distinti e diversi da quelli. Siamo la regione più ricca, mettiamo una quantità di risorse adeguate per la prima e più importante necessità, che è poi anche un sacrosanto diritto: la salute.
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