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Le domande rimaste senza risposta

di Adria Bartolich

La scuola oltre ad essere un luogo di apprendimento è uno spazio di aggregazione. È perfino banale dirlo ma forse è addirittura l’unico che permetta ai ragazzi di confrontarsi con i loro pari e intrattenere rapporti anche con studenti di età diversa, più piccoli o più grandi.

Il cambio della struttura sociale e familiare, processo inevitabile con l’inserimento delle donne nel mondo del lavoro, ci restituisce un quadro di relazioni umane molto modificate, e anche della struttura educativa e relazionale dei rapporti sociali. Non più case di ringhiera o cascine a corte, dove il bambino era della comunità, ma famiglie mononucleari e sempre più spesso monoparentali, tempo libero organizzato e ritmato da corsi e attività strutturate rigidamente tra coetanei.

Il gioco ormai si riduce ai videogame e alla relazione con lo smartphone.

Perciò che la scuola possa essere riaperta è un fatto di innegabile importanza, oltre a rispondere a un diritto costituzionale cioè il diritto all’istruzione. In molti Paesi d’Europa, nel periodo della fase acuta del Covid nemmeno è stata chiusa. I ragazzi in alcuni casi sono stati in classe con le mascherine, in altri sono stati divisi in gruppi, in altri sono andati a scuola esattamente come prima ma si sono registrati aumenti dei casi di Covid.

Ora, in Italia, partiamo da una situazione delle scuole abbastanza precaria, scuole vecchiotte e spesso con una manutenzione carente, in alcuni casi classi piuttosto numerose, un sistema di assunzione del personale caotico ed elefantiaco e grandi differenze territoriali sia come clima che per diffusione del virus; e a questo aggiungiamo anche una tendenza al caos e all’esuberanza che sembra essere quasi congenita nei nostri ragazzi.

Ogni Paese ha un suo sistema educativo fatto di valori, tradizioni, comportamenti censurati o stimolati. Nel nostro pare che l’essere socievoli e caciaroni prevalga su tutto. E i bambini arrivano a scuola esattamente con questa impostazione.

Francamente davvero pensiamo che si possano tenere venti ragazzi delle scuole medie immobili tutta la mattina fatta eccezione per l’intervallo? E ancora, questo sistema di assunzioni ha mai permesso di iniziare la scuola con tutti i docenti al loro posto in cattedra? Se non ci saranno, che cosa faranno le scuole? E per concludere, davvero pensiamo che gli enti locali riescano in un mese a intervenire sulle strutture come non hanno fatto in trent’anni?

In poche domande, ecco i tre nodi strutturali che nel nostro Paese pare tutti evitino di affrontare: 1) l’emergenza educativa; 2) la modifica del sistema di assunzione nella scuola; 3) il decentramento di risorse e poteri agli enti locali.

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