Le impronte digitali dei dirigenti scolastici

di Adria Bartolich
Avendo ormai una certa età mi permetto di fare la saggia. La
saggezza, cioè quella che il vocabolario
definisce l’equilibrio nel comportamento e nel consiglio. È frutto di una
matura consapevolezza ed esperienza delle cose del mondo: è una virtù che per definizione
possiede solo chi ha avuto modo di
vivere per un periodo lungo abbastanza
da consentirgli di constatare i meccanismi che regolano le vicende del mondo e degli uomini.
Ora, dall’alto della mia esperienza sento di dire, abbastanza perentoriamente,
che la gran parte delle cose che si sanno o si scoprono ai vari livelli,
raramente sono risultato dell’efficienza dei
controlli, bensì sono frutto di spiate. Le chiamo con il loro nome,
anche se, com’è ovvio , c’è spiata e spiata.
Quella che ha il compito di denigrare un possibile
concorrente e un’altra che tende a fare
luce su comportamenti non corretti o addirittura scandalosi.
Nella storia della Pubblica Amministrazione in generale non sono stati pochi, ma da qui a stabilire controlli di natura quasi
poliziesca ce ne corre. Per non parlare
poi di ruoli che per loro natura e per essere esercitati, nella fattispecie quello del Dirigente
scolastico, devono prevedere alti
livelli di libertà e flessibilità.
Nessun comportamento soggettivamente scorretto può dare a
qualcuno il diritto di screditare un’intera categoria.
Alla commissione Cultura della Camera dei Deputati è passato
un parere che chiede per loro accertamenti all’ingresso e controlli biometrici, cioè
l’identificazione attraverso le impronte
digitali. Naturalmente tutto ciò ha prodotto la sollevazione delle associazioni
di categoria, che hanno scritto a Mattarella.
Ora mi pare di potere dire che, se per svolgere un lavoro impiegatizio è
per forza necessaria la presenza, per essere un dirigente scolastico, che deve
tenere i rapporti con il territorio, serve
quasi l’esatto contrario.
La presenza statica a scuola potrebbe perfino voler dire che
si esercita un ruolo in maniera burocratica. Oltre tutto, salvo pensare di volere mettere telecamere ovunque,
presenza non significa necessariamente capacità ed efficienza nel lavoro,
identificabile invece operando un controllo sui risultati con rigore e sui
quali, invece, spesso c’è tolleranza.
Però, se la ratio con cui ci si muove è la presunzione di
colpevolezza, ciò alimenterà le delazioni e un clima generale quanto mai
dannoso per un’istituzione educativa, di cui la scuola non ha certamente
bisogno.
Mai come quando pretendiamo di controllare tutto non
riusciamo più a controllare niente.