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Le sfide aperte dell’archeologia

di Lorenzo Morandotti

La notizia di una mostra archeologica per valorizzare i reperti di recenti scavi comaschi, in arrivo nel 2022 in città  a cura  della Società Archeologica Comense, fa ben sperare, in attesa che si possa ammirare parte del tesoro aureo di monete romane rinvenuto in via Diaz.

Intanto grazie alle Università di Roma (Sapienza), Monaco e Varsavia, in settembre si farà  più vicino l’obiettivo di una digitalizzazione dei siti protostorici del parco Spina Verde, che ha ancora segreti da svelare. Proprio a un uso meno roboante, hollywoodiano e superficiale della terminologia, che metta al bando parole come “Indiana Jones” e “tesoro” riferito a ciò che si scopre scavando, richiama un utile libro.

Stiamo parlando del nuovo saggio dell’archeologo Luigi Malnati edito da La Nave di Teseo con prefazione di Vittorio Sgarbi La passione e la polvere. Storia dell’archeologia italiana da Pompei ai nostri giorni, che ospita nella galleria fotografica anche una immagine delle terme romane di viale Lecco a Como incastonate sotto l’autosilo del Valduce, portate ad esempio come riuso  degli spazi urbani senza negarne le  origini.

Non basta illuminare e portare alla luce, fa capire l’autore. Serve conoscere per deliberare, insegna il suo libro che racconta come l’Italia ha potuto gestire, nel bene e nel male, le competenze, la passione e anche le fatiche degli archeologi.  Malnati fa capire che l’archeologia non deve tutelare solo quello che è reso visibile, ma anche quello che non si vede ed eppure c’è. Per questo sarebbe importante, in una città che vive su una somma di tanti strati corrispondenti a tante epoche diverse come Como, avere una mappa virtuale, magari in 3D delle varie presenze, evidenziate da scavi o ipotizzate da fonti, che racconti la storia urbanistica della città e la sua struttura, come si è sedimentata nel corso del tempo, dall’epoca delle palafitte fino  alle mura medievali e fino al XXI secolo.

Non basta scavare. Molte piccole aree archeologiche fini a se stesse, spiega Malnati, rischiano di degradarsi se non sono messe in rete fra loro. Scavare l’intera Pompei, cioè quello che rimane ancora sottoterra del sito, tanto per fare un esempio celebre, imporrebbe costi di gestione e vigilanza enormi.

Ogni città poggia le fondamenta su un passato più o meno vasto, e cresce su se stessa. Sondarne e intercettarne i vari strati è questione di scelte: si deve  andare a fondo e poi scegliere cosa va sommerso e cosa va salvato. Per Malnati, questo deve essere fatto rimettendo in primo piano appunto il ruolo degli archeologi.

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