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L’equilibrio instabile del “bene comune”

di Agostino Clerici

C’è una curiosa espressione che torna spesso nei discorsi dei politici, il cui significato dovrebbe essere univoco: con queste due parole si dovrebbe indicare uno specifico bene che è condiviso da tutti i membri di una specifica comunità. Ma se è abbastanza semplice cercare di identificare un bene comune di una piccola comunità, assai arduo è fissare il bene comune della nazione. Lo stiamo constatando in questi giorni di aspro dibattito sulla manovra economica.Qual è la specifica comunità di riferimento per identificare il bene comune? Si oscilla tra l’Italia e l’Europa in un equilibrio talvolta instabile. Le categorie di “europeisti” e “sovranisti” sono sempre più strette e rasentano la solita diatriba tra bianco e nero in un mondo che invece abbonda di sfumature di grigio. Bisogna riconoscere che l’Europa esiste ancora soltanto sulla carta, mentre l’Italia è una carnalità più che reale (come del resto lo sono anche Francia e Germania e qualunque altra nazione). La tendenza è sempre più al proprio particolare, ma attenti a bollare troppo frettolosamente di egoismo nazionale ciò che, guardato da un’altra visuale, potrebbe invece apparire come giusta esigenza di autonomia.Le regole sono importanti ma non sono tutto, e del resto i grandi calciatori sono quelli dotati di fantasia. Le regole spesso sono l’arma dialettica preferita da chi vuole imbrigliare nuove vie di sviluppo. In effetti con le stesse regole si può fare sia la morale che il moralismo, e gli esiti sono diametralmente opposti.Un’altra cosa che non mi piace affatto è che tutto sia ridotto a numeri e tabelle, come se la vita – sì, anche quella economica – sia perfettamente misurabile, e per giunta in anticipo. Sarebbe interessante farci vedere se le tabelle di dieci anni fa sono finite nella realtà o nel cestino, ma è politicamente scorretto compiere questa operazione, e di solito la si fa solo in periodo elettorale (posto che ormai ne esista uno che non lo sia) e con le tabelle degli altri.L’indice della Borsa, la quota dello spread e la percentuale di sforamento del rapporto deficit-Pil sono i numeri perennemente in bocca a chi voglia disquisire di politica ed economia nei numerosi salotti televisivi. Ma per tanti – troppi – l’unico numero che conta davvero è quello che misura ciò che rimane nel borsellino dopo la spesa al supermercato. Forse è qui che si nasconde il senso autentico di quel bene comune che tutti dicono di voler perseguire.Chi avrà ragione? I nuovi governanti o i vecchi partiti? A me pare che abbiano torto un po’ tutti, perché ciascuno si crede il salvatore della patria, mentre un pizzico di umiltà e di collaborazione sarebbe gradita proprio per il raggiungimento di un bene che è, appunto, comune. Invece, la conflittualità sembra l’anima della democrazia, e gli stessi alleati di governo si stringono la mano e poi si rinfacciano la manina, litigano su facebook e tornano d’accordo su twitter. E dall’opposizione si limitano a vaticinare disastri, illudendosi di essere sull’arca nel bel mezzo del diluvio universale.

C’è una curiosa espressione che torna spesso nei discorsi dei politici, il cui significato dovrebbe essere univoco: con queste due parole si dovrebbe indicare uno specifico bene che è condiviso da tutti i membri di una specifica comunità. Ma se è abbastanza semplice cercare di identificare un bene comune di una piccola comunità, assai arduo è fissare il bene comune della nazione. Lo stiamo constatando in questi giorni di aspro dibattito sulla manovra economica.

Qual è la specifica comunità di riferimento per identificare il bene comune? Si oscilla tra l’Italia e l’Europa in un equilibrio talvolta instabile. Le categorie di “europeisti” e “sovranisti” sono sempre più strette e rasentano la solita diatriba tra bianco e nero in un mondo che invece abbonda di sfumature di grigio. Bisogna riconoscere che l’Europa esiste ancora soltanto sulla carta, mentre l’Italia è una carnalità più che reale (come del resto lo sono anche Francia e Germania e qualunque altra nazione). La tendenza è sempre più al proprio particolare, ma attenti a bollare troppo frettolosamente di egoismo nazionale ciò che, guardato da un’altra visuale, potrebbe invece apparire come giusta esigenza di autonomia.

Le regole sono importanti ma non sono tutto, e del resto i grandi calciatori sono quelli dotati di fantasia. Le regole spesso sono l’arma dialettica preferita da chi vuole imbrigliare nuove vie di sviluppo. In effetti con le stesse regole si può fare sia la morale che il moralismo, e gli esiti sono diametralmente opposti.

Un’altra cosa che non mi piace affatto è che tutto sia ridotto a numeri e tabelle, come se la vita – sì, anche quella economica – sia perfettamente misurabile, e per giunta in anticipo. Sarebbe interessante farci vedere se le tabelle di dieci anni fa sono finite nella realtà o nel cestino, ma è politicamente scorretto compiere questa operazione, e di solito la si fa solo in periodo elettorale (posto che ormai ne esista uno che non lo sia) e con le tabelle degli altri.

L’indice della Borsa, la quota dello spread e la percentuale di sforamento del rapporto deficit-Pil sono i numeri perennemente in bocca a chi voglia disquisire di politica ed economia nei numerosi salotti televisivi. Ma per tanti – troppi – l’unico numero che conta davvero è quello che misura ciò che rimane nel borsellino dopo la spesa al supermercato. Forse è qui che si nasconde il senso autentico di quel bene comune che tutti dicono di voler perseguire.

Chi avrà ragione? I nuovi governanti o i vecchi partiti? A me pare che abbiano torto un po’ tutti, perché ciascuno si crede il salvatore della patria, mentre un pizzico di umiltà e di collaborazione sarebbe gradita proprio per il raggiungimento di un bene che è, appunto, comune. Invece, la conflittualità sembra l’anima della democrazia, e gli stessi alleati di governo si stringono la mano e poi si rinfacciano la manina, litigano su facebook e tornano d’accordo su twitter. E dall’opposizione si limitano a vaticinare disastri, illudendosi di essere sull’arca nel bel mezzo del diluvio universale.

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