Categories: Opinioni & Commenti

L’ex centrale termica rinasca a funzioni vitali

di Marco Guggiari

Chiamiamola pure Santarella, per comodità, anche se l’ex centrale termica della Ticosa, unico edificio rimasto in piedi dopo l’illusoria e fuorviante festa della demolizione del 27 gennaio 2007, non fu progettata dall’ingegner Luigi Santarella, bensì da Giovanni Barosi, anch’egli ingegnere. Santarella insegnava al Politecnico di Milano e si limitò a inserire nel suo manuale sulle costruzioni alcune tavole relative alla centrale termica comasca. Tanto bastò perché nell’immaginario collettivo, ancora oggi, sia considerato il progettista, che fu invece Barosi, titolare di un’azienda milanese di costruzioni. Questo non è comunque il punto delle righe scritte qui, anche se aiuta a capire due cose: l’approssimazione con la quale si gestisce la vicenda ex Ticosa, a partire dai nomi che la qualificano e la sua storicità con radici che affondano nel secolo scorso e nella vita della città di Como. Si diceva un tempo che ogni famiglia comasca aveva avuto almeno qualcuno occupato nella tintostamperia di via Grandi. Un’iperbole poco lontana dalla realtà. Oggi la cosiddetta (impropriamente) Santarella resta lo spazio verticale superstite di quella gloriosa, drammatica e triste storia, altrimenti configurata come una spianata inutile e inutilizzata. Una ferita sempre aperta, difficile e costosa da rimarginare. Ed è una sopravvivenza altrettanto problematica, per il suo attuale degrado, per il suo vigente pericolo, per l’incertezza della sua destinazione futura. Pochi giorni fa le istituzioni si sono riunite (rifiuto l’abusato e ormai ripetitivo e retorico termine di “tavolo”) per tentare la messa in sicurezza di quello che oggi, e già da molto tempo, è soltanto un rifugio di disperati. Speriamo che sia la volta buona. Nel recente passato alle parole non sono seguiti i fatti: dopo l’incendio del 4 dicembre 2013 e poi del 29 aprile 2016, entrambi causati da fuochi accesi dai “residenti” nella Santarella per scaldarsi o per riscaldare vivande, si decise di blindare l’area con risibili risultati. Fortunatamente i roghi non hanno causato vittime. Nell’Hotel Santarella ci sono stanzette ricavate con divisori posticci, giacigli, cucine improvvisate, poltrone e divani sfondati, stenditoi e colapasta. Nello scorso mese d’agosto questo giornale ha documentato con un reportage fotografico che l’ex centrale termica è tuttora rifugio di disperati. Evitare tutto questo sarebbe un primo passo nella prevenzione di eventuali tragedie. Poi dovrebbero seguire la destinazione e il recupero dell’edificio: museo della seta, auditorium, museo del Razionalismo, nuovi spazi per l’università dell’Insubria, area espositiva… Tante diverse ipotesi, un unico obiettivo: che, come altrove (la Bovisa a Milano, per dirne una, insegna) l’archeologia industriale rinasca a nuova vita con funzioni vitali.

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