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Licenziamenti: l’indicibile detto da Tamborini

di Giorgio Civati

L’indicibile è stato detto. Da mesi in Italia e nel mondo si discute, più o meno a mezza voce, della necessità da parte delle aziende di licenziare per poter ripartire con conti non gravati da ”pesi” insopportabili per i costi fissi del personale in quella che sarà la nuova e difficilissima situazione economica mondiale, ma a Como nessuno aveva preso posizione ufficialmente. Fino alla settimana scorsa: in una tavola rotonda organizzata dalla Filctem Cgil di Como l’amministratore delegato di Ratti, Sergio Tamborini,  ha infatti spiegato che a suo modo di vedere le imprese saranno obbligate a tagli del 10-20% degli addetti per poter sopravvivere. Magari poi riassumendo, ma solo in seguito.

Espresso in “casa” di un sindacato, il ragionamento poteva sembrare una provocazione, una bestemmia quasi e invece pare non abbia scatenato più di tanto accuse, rivendicazioni, lotte di parte. Segno che anche i rappresentanti dei lavoratori di fronte all’interesse comune – la sopravvivenza di un’azienda – si rendono conto della necessità di interventi difficili, dolorosi, traumatici.

Il manager che ha salvato la Ratti per conto del gruppo Marzotto una decina di anni fa e l’ha riportata a ottime performance di mercato e di bilancio, intanto, ha detto quello che molti colleghi imprenditori pensano e vedono come inevitabile, ma così chiaramente l’ha fatto solo lui. Poteva starsene zitto, ha scelto di parlare. E di fronte ai molti silenzi timorosi o ai timidi sussurri dell’imprenditoria comasca sull’argomento licenziamenti  – licenziare per sopravvivere, mica per altro – quello di Tamborini, oltre che un ragionamento purtroppo pieno di buon senso, pare un assist a tutta l’industria di Como, tessile e non solo. Che per ripartire, quando sarà possibile, avrà bisogno di costi relazionati ai fatturati inevitabilmente più bassi. A partire da quelli per il personale.

È una realtà tragica, ovviamente. Molti perderanno il posto di lavoro e in un contesto come questo trovare altra occupazione sarà difficilissimo. La società si ritroverà quelli che vengono definiti “nuovi poveri” – espulsi dal mondo del lavoro ma anche partite Iva, commercianti e artigiani rimasti fermi, senza incassi, senza clienti, senza futuro – da assistere, aiutare, sostenere.

Non può però essere demandato alle aziende un compito assistenziale del genere. Deve essere lo Stato, sinceramente non si sa come, a gestire questa emergenza sociale oltre che economica.

Al mondo del lavoro si può solo chiedere di mantenere conti in ordine per tornare a creare occupazione, di tornare a bilanci in utile per pagare le tasse, insomma di tornare a creare quella ricchezza – degli imprenditori ma, in senso più ampio, di tutti – che permette spese, consumi, investimenti, benessere.

Saprà svolgere il suo ruolo questo Stato caotico, dispensatore di contributi a pioggia forse più per guadagnare consensi che per una qualche strategia, impreparato, litigioso e arruffone? Abbiamo molti timori al riguardo. Da parte loro, le aziende non possono che cercare di sopravvivere e poi ripartire al meglio, o comunque meno peggio. Licenziare sarà un’azione da usare con cautela, con la massima umanità e sensibilità, ma in certi casi inevitabile. Dirlo, dirselo come ha fatto l’ad di Ratti Sergio Tamborini è un primo passo per ragionarci sopra e affrontare il problema.

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