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L’isteria altalenante delle riaperture

di Adria Bartolich

In tutta franchezza ci sono cose che per me rimangono misteriose. Una di queste è l’isteria altalenante che sul tema riapertura e chiusura delle scuole si registra pressoché quotidianamente. Riassumendo: questo virus è particolarmente pervasivo e di facile trasmissibilità; ama vagare in ambienti affollati e miete vittime a profusione soprattutto tra gli anziani ma adesso anche tra i giovani che, per fortuna, accusano il colpo molto meglio.

Giusto per non farci mancare niente, siccome siamo un Paese in cui lo sguardo è lungo, pare che a seguito dei numerosi tagli al sistema universitario sia stato privilegiato lo studio della virologia a discapito dell’epidemiologia. In altre parole ci manca gente formata sullo specifico delle epidemie.

Siamo il Paese europeo che ha avuto più difficoltà a riposizionarsi dopo la crisi del 2008 e con una bassa competitività. In piena epidemia, mi pare ovvio, la necessità primaria è quella di non peggiorare ulteriormente i dati macroeconomici e mantenere operative le attività economiche.

Dato che  comunque è necessario contenere la propagazione del virus, la scelta più ovvia sarebbe stata quella di ritardare la riapertura delle scuole dove è possibile lavorare, in alternativa con la didattica a distanza senza danni per l’economia, e contestualmente  contribuire ad abbassare la curva dei contagi. Invece si riaprono le scuole e si mettono in movimento milioni di persone, con un assurdo dispendio di risorse ed energie (banchi, mascherine, disinfettanti e poi docenti contagiati, quarantene, sostituzioni, cambi orari e via di seguito) a cui si sommano buchi organizzativi ormai storici (docenti che arrivano a novembre, educatori idem, ecc.). Quindi si richiudono. Però lo si fa solo parzialmente, anche qui creando non poche complicazioni organizzative.

Perciò si cambiano ancora gli orari per la didattica integrata in modo che i docenti possano seguire le classi in presenza e quelle a distanza che hanno un’organizzazione oraria differente; questo con molti docenti ormai in quarantena, alcuni anche con sintomi, costretti a lavorare per non lasciare scoperte le classi. Si apre, si chiude e si riapre a ridosso dalle vacanze di Natale, e per aprire per una ventina di giorni si rischia nuovamente l’impennata di contagi, quando questi ultimi sono tutt’altro che fermi, inseguendo il mito che aperti è meglio, anche se mascherati, disinfettati, costretti all’immobilità e ora soprattutto surgelati, con le finestre aperte a ogni ora in inverno. Senza nessuna logica se non quella della propaganda o del consenso.

Perché non affidare la decisione su come procedere agli istituti?

C’è l’autonomia e anche la conoscenza delle situazioni sul territorio. Invece no.

Tutto è centralizzato. Evidentemente  siamo aperti. Sì, ma non di mente.

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