di Adria Bartolich
Ancora per una volta il rapporto dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) dà ancora una valutazione negativa al nostro sistema scolastico in relazione alla capacità della scuola italiana di essere un ascensore sociale per i ragazzi che partono da una situazione sociale svantaggiata. Dal rapporto si ricava, infatti, che già dall’età di 10 anni, alla fine del primo ciclo di studi, i bambini le cui famiglie dispongono di scarse risorse culturali ed economiche di partenza, hanno scarse possibilità di essere inseriti nel gruppo dei più bravi. Solo uno su otto accederà al sistema liceale mentre circa il 25% di costoro frequenterà le scuole più svantaggiate rimanendo, in questo modo, inchiodato alla sua situazione d’origine. Questi dati devono aprire una profonda riflessione tra tutti coloro che si occupano di scuola. Lo scopo della scuola pubblica, infatti, non solo è quello di elevare la condizione generale dell’istruzione di un Paese, ma soprattutto deve mettere il maggior numero di ragazzi possibile nella condizione di migliorare il proprio livello culturale, a prescindere dalla propria condizione sociale di partenza. In Italia le condizioni sociali di provenienza incidono in maniera impietosa sul rendimento scolastico dei ragazzi. Nelle competenze scientifiche, ad esempio, mediamente la differenza tra uno studente socialmente avvantaggiato e uno proveniente dalla situazione opposta equivale a due anni di studi, ed è un dato altissimo. Se poi compariamo il livello con i ragazzi più bravi nelle classifiche internazionali il divario addirittura arriva a 5 anni. Incolmabile. A questi dati già di per sé sconcertanti se ne aggiunge un altro più che preoccupante, e cioè che la scelta delle scuole superiori corrisponde più che alla ricerca di un indirizzo che possa corrispondere alle proprie attitudini, al livello socio-economico della famiglia. Alla fine del ciclo di studi, incrociando i dati con quelli del sistema universitario, si rileva che, nel tempo, la possibilità di laurearsi per gli studenti provenienti da famiglie i cui genitori hanno un basso livello di istruzione, è addirittura diminuita. A fronte di questi risultati negativi, la spesa pubblica destinata all’istruzione, in Italia, è una delle più basse dell’Unione Europea. Siamo un Paese praticamente privo di materie prime e il secondo Paese manifatturiero in Europa, dopo la Germania. Com’è ovvio ognuno di noi ha una soggettiva sensibilità sia sulla giustizia sociale che sul valore della cultura. Purtroppo il mercato no. O si è competitivi sui costi, cioè pagando poco il lavoro, cosa improbabile in un Paese sviluppato, o sulla qualità, che si raggiunge però solo in una condizione di sapere diffuso. Se non vogliamo investire nella scuola per “buonismo”, concetto che considero una vera idiozia, facciamolo almeno per rafforzare la nostra economia.
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