Luccone, il romanzo nel tempo delle grandi crisi

Un libro che si muove su vari registri espressivi, tra Italia e Stati Uniti, parla al cuore della società contemporanea, ne svela le contraddizioni, pone domande e non fa sconti. Ed è una di quelle letture che rimangono dentro.Domani alle 18 alla libreria Ubik di piazza San Fedele a Como viene presentato l’esordio letterario dell’autore romano Leonardo G. Luccone,La casa mangia le parole, edito da Ponte alle Grazie: un romanzo sulla crisi della borghesia di oggi, sul ruolo della parola (attraverso il non facile tema della dislessia) e sul ruolo della memoria. E non manca uno sguardo critico nei confronti dell’emergenza ambientale che fronteggiamo. Luccone, romano, è anche apprezzato traduttore, ha curato edizioni italiane di autori come John Cheever e F. Scott Fitzgerald: «Quando traduci e curi molto bene i romanzi degli altri, e lo fai per vent’anni, dentro di te dev’esserci per forza un bravo romanziere. Leonardo lo ha trovato, e lo ha tirato fuori» ha detto di lui lo scrittore Sandro Veronesi.«È un romanzo vero al 95% – dice Luccone – e tra i vari tasselli del mio mosaico c’è poca colla e poco filo. Molti aspetti del racconto mi appartengono, li ho presi dalla vita reale. Ci sono personaggi contraddittori, apolidi che vivono male passato e radici, e poi coppie borghesi che nascondono le fratture e le crisi dietro un velo di perbenismo e conformismo, vuote marionette tenute insieme da non scelte o scelte sbagliate».Anche i luoghi nel romanzo sono personaggi: «Sono impietoso con la mia Roma, città ingovernabile e piena di problemi irrisolti, dove ci si fa belli dei festival letterari ma ci sono 200 biblioteche allo sfascio. E poi c’è la provincia, da cui può venire una energia ancora pura, una voglia di riscatto. Ma chi ne esce spesso è una spugna permeabile, e la corruzione della grande città può sterilizzarlo».Luccone è anche traduttore: «Un costante esercizio di umiltà, l’ascolto della voce nella scrittura è importante, ti fortifica. Anche se in questo mio romanzo d’esordio mi sono sentito comunque solo e nudo, ed è stato un lavoro di anni in cui ora un editore ha creduto fortemente. È una linea narrativa lunga e complessa che si è agglutinata dentro pian piano e poi è sgorgata fuori, assecondando il ritmo del ricordo che è ciò che costituisce l’architettura di tutto il romanzo»Un libro forte, che parla anche della disabilità. «Quando uscì mi colpì molto Nati due volte, il romanzo autobiografico del comasco Giuseppe Pontiggia: grande nella capacità di raccontare la fragilità di un padre alle prese con un figlio disabile, di fronte a una prova esistenziale tanto radicale».