di Agostino Clerici
Immagini che danno fastidio, quelle della violenza urbana a Roma (ma anche a Milano) che colpisce la sede della Cgil e il Pronto Soccorso di un ospedale. Fa impressione vedere il tricolore sventolare quasi che i violenti l’abbiano scelto come vessillo delle loro azioni. Bandiere usate come armi improprie per devastare luoghi di convivenza civile.
E soprattutto una parola – libertà – urlata come un semplice slogan, brandita come un coltello, e alla fin fine immiserita proprio nel suo significato. Perché la libertà è il contrario della violenza e rimane tale solo se non arriva ad aprirsi uno spazio sottraendolo con la forza dell’arroganza. È importante delineare il quadro politico entro cui incasellare i singoli episodi di violenza. E si deve farlo ricorrendo soprattutto alla memoria storica del nostro Paese, dagli squadrismi di un secolo fa sino agli anni di piombo. Ma è interessante anche riflettere su quanti e diversificati possano essere i pretesti per lo scatenarsi della violenza.
A Roma sabato scorso la libertà e le bandiere tricolori dovevano legittimare chi manifestava contro le decisioni del Governo in merito al green-pass. Una folla variegata in cui si mischiava chi è contro il vaccino, chi nutre perplessità sulla linea di contrasto al Covid e non trova risposte alle sue domande, chi è semplicemente propenso a dire no a tutto, chi è arrabbiato e magari chi aveva bisogno di passare un pomeriggio alternativo cantando l’inno di Mameli come la nazionale di calcio. Insomma, quel “melting pot” che caratterizza tante manifestazioni tipiche del clima post-moderno. In italiano si chiama “confusione”: dentro può annidarsi di tutto, anche la violenza. E qui sta il punto.
Gli opposti estremismi una volta si fronteggiavano a viso aperto e lanciavano l’un contro l’altro i loro strali ideologici (e non solo quello), i bersagli della violenza erano palesi. Oggi questi movimenti cercano di risorgere, ma difficilmente riescono a ritagliarsi uno spazio proprio e sono così costretti a paludarsi dentro qualche serpentone variopinto di protesta più o meno popolare. I cortei “no-vax” o “no-pass” sono una ghiotta occasione per nascondersi e, al momento opportuno, mettere in atto la propria azione violenta. È una strategia di guerriglia urbana che deve essere smascherata da chi ha il compito di permettere la libera e rispettosa manifestazione del dissenso e insieme di tutelare l’ordine pubblico, evitando che la violenza diventi la voce con cui parlano i fanatismi politici.
Credo che il tema della violenza debba essere preso con molta serietà, a partire da quelle manifestazioni di aggressività istintiva che spesso vediamo esplodere – anche qui nella nostra città – tra bande di giovanissimi alla ricerca di pretesti per litigare e picchiarsi. Non è ancora la violenza organizzata e ideologica del fanatismo politico, ma rischia di costituire una manovalanza pronta ad essere arruolata di qui a qualche anno.
Purtroppo le agenzie educative tradizionali avvertono una impotenza crescente a porre un argine a questo fenomeno. Il terreno su cui lavorare pazientemente per correggere questa assurda propensione all’estremismo che sfocia nella violenza è solo il riconoscimento della molteplicità dei valori. Per apprezzare la differenza come fonte di reciproco arricchimento.
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