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Medici, deontologia e voglia di morire

di Mario Guidotti

Anna aveva solo 19 anni ma nessuna voglia di vivere, dopo che Marta, la sua migliore amica, se ne era andata per lo stesso motivo. Allora prese due scatole di paracetamolo e le trangugiò con mezza bottiglia di vodka. Non aveva dimenticato di lasciare altri messaggi: uno scritto dal titolo DAT (disposizioni anticipate di trattamento) in cui chiedeva di non essere salvata ed una spilla presa a Boston, che riportava: DNR (do not resuscitate: da non rianimare). Nonostante una volontà ferrea espressa in più modi il medico del 118 chiamato dai genitori non ci ha pensato un attimo, l’ha intubata e portata in rianimazione all’ospedale più vicino. All’inizio sembrava ce la facesse, ma in pochi giorni si è palesata clinicamente la precisa volontà di Anna: il fegato si stava spappolando e solo il trapianto poteva salvarla. Si è trovato un donatore, ma Anna, pur con i pochi mezzi di comunicazione rimasti, ripeteva che non voleva essere salvata. Ciononostante i chirurghi, pur sapendo di violare la legge, che tutela l’intoccabilità di un corpo se non previo consenso informato (altrimenti quale sarebbe la differenza tra il taglio di un chirurgo e quello di Jack lo squartatore?), l’hanno trapiantata. Come sempre, piove sul bagnato, e ci sono stati segni di rigetto, con necessità di ulteriori cure.

Un vero calvario, che Anna oltretutto non voleva percorrere, nella ferrea consapevolezza di rigettare non solo il fegato donato da qualche anonimo benefattore che magari, al contrario di lei, era attaccatissimo alla vita e ha dovuto improvvisamente lasciarla, ma l’esistenza stessa, che senza Marta non valeva più la pena di essere vissuta. Dopo centomila cure ed esami Anna è sopravvissuta ed in sei mesi è tornata a casa. Non ne sappiamo più altro. Restano invece una serie di contenziosi giudiziari per i medici che l’hanno salvata e curata contro la sua  volontà. La legge 219 del 2017 (nome in materia di consenso informato e disposizione anticipate di trattamento) recita chiaramente che gli accertamenti e i trattamenti sanitari sono volontari. E lo stesso codice deontologico del medico afferma che egli deve tenere conto delle volontà espresse dal paziente. E se le volontà di Anna fossero state dettate da uno stato di grave depressione e questa condizione di patologia la rendeva non libera di scegliere?

Chi non proverebbe a salvare una ragazza che ha una vita davanti? Ma se questa vita sarà segnata da gravi deficit determinati dagli atti medici messi in campo proprio per salvarla, le si dovrà un risarcimento?

Proprio perché non è stata rispettata la sua volontà di morire? Decine di giureconsulti si accapiglieranno per anni per applicare le leggi che in questo caso non potranno mai tenere conto del bisogno naturale che una persona salvi sempre e comunque un suo simile che rischia di morire,  in mare, in terra, nella gioia e nella peggiore disperazione.

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