Non esiste conversione nel mondo dei Social

Non esiste conversione nel mondo dei Social

di Agostino Clerici

Il caso del ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti è
solo l’ennesimo episodio in cui qualcuno scoperchia l’imbarazzante cronologia
di tweet, commenti e messaggi – alcuni decisamente offensivi – allo scopo di
usarli nell’infuocato agone politico.

I censori trovano sempre il consenso di un numeroso
pubblico, tra i quali forse si annidano anche alcuni che hanno già patito la
medesima gogna mediatica o avrebbero materiale sufficiente per crearne una,
solo che ci si avventurasse nel loro fornitissimo archivio digitale.

Ma c’è chi tenta una difesa del malcapitato di turno, non
tanto approvando le sue prese di posizione, ma invocando una sorta di prescrizione
delle opinioni.

In fondo, quando ha scritto quelle cose, era giovane e
immaturo e scalpitava come un puledro, magari addirittura nel recinto politico
opposto a quello in cui ora milita. Ma oggi è davvero pentito? Ha realmente
cambiato opinione rispetto a quanto aveva scritto o è solo divenuto più
prudente nell’esprimerla ed è più sgamato nell’uso dei social? La domanda
attinge alla sfera dell’essere e del pensiero recondito, non espresso cioè
pubblicamente, e pertanto è difficile rispondere. Nella società dell’apparenza,
però, non basta più dire di aver chiesto scusa agli interessati, perché si può
averlo fatto per semplice opportunismo al fine di mantenere una poltrona
attuale, insidiata dalle parole scritte magari dieci anni prima. Bisognerebbe
dimostrare che il cambiamento è sincero, ma è un risultato difficilmente
ottenibile: se in passato, infatti, le posizioni politiche erano praticamente
inossidabili, assistiamo oggi ad un turbinio di conversioni che tolgono
significato alla parola «cambiamento». Ho sentito nei giorni scorsi un politico
scafato difendersi dall’accusa di aver cambiato casacca più volte con una
teoria francamente discutibile: lui sarebbe fermo da sempre sulle stesse idee,
e sarebbe stato costretto a cambiare partito per poterle difendere, visto che a
cambiare i suoi valori era stato di volta in volta il partito a cui
apparteneva. Sembra la teoria in cui anche un orologio rotto, almeno due volte
al giorno, mostra l’ora esatta. Ritornando all’invocata prescrizione delle
opinioni espresse nella Rete, credo che non sia possibile concederla troppo
facilmente, perché – come dicevano già gli antichi, «verba volant, scripta
manent» – e i social sono le moderne lavagnette, che hanno il vantaggio (o
forse è uno svantaggio) di non cancellarsi mai, visto che lo spazio digitale è
praticamente infinito e la memoria è inesauribile. Non esiste conversione nel
mondo perfetto e disumano della comunicazione globale, in cui la velocità di
scrittura è inversamente proporzionale alla durata di ciò che si è scritto:
basta un attimo per postare una passione magari passeggera, e quelle parole
sono subito eterne. Ecco perché invocare la prescrizione delle opinioni mi pare
una scorciatoia. Cambiare, sia chiaro, è possibile e talvolta pure auspicabile,
perché non c’è peggior prigione per la coscienza che la perseveranza in un
errore. Ma cambiare non è arte da palcoscenico. Intanto, impariamo a tenerci
ben chiuso il cassetto interiore dei nostri pensieri, soprattutto quelli più
improvvisi. Scriverli lì dentro e non sui social può pacificare il presente e
salvarci il futuro.