di Lorenzo Morandotti
Siamo a Natale, ottima occasione con l’aria che tira per regalarsi un bel bagno di realtà. La pandemia ha fatto salire a galla con velocità e prepotenza tante contraddizioni di un modo di vivere, pensare, gestire le cose pubbliche e private che evidentemente aveva bisogno ben più di una revisione o di una scrollata dal basso, anzi aveva e ha bisogno di un totale cambio di paradigma.
Settori tenuti ai margini per presunta scarsa redditività come il mondo della cultura, dello spettacolo e dell’intrattenimento o per presunta capacità di autonomia organizzativa come la filiera del turismo nelle sue varie accezioni e ramificazioni, benché sbandierati come fiori all’occhiello del cosiddetto sistema Paese, giustamente pretendono di presentare il conto perché maggiormente esposti al vento della crisi.
Detto per inciso: Lecco si è già mossa con vari attori economici e amministrativi per candidarsi a capitale della cultura italiana del 2024. A Como, che già ha tentato invano in passato la medesima impresa, non risulta siano in corso iniziative analoghe: evidentemente si dorme o va bene così il posto assegnato nelle retrovie nell’ultima classifica nazionale del “Sole 24 Ore”. Contenti voi, nuovamente la città di Manzoni batte quella di Volta.
Tutti di fronte a una sfida di proporzione epocale come quella della pandemia devono assumersi fino in fondo le responsabilità che competono, non solo nella propria attività e nel proprio contesto particolare ma anche nella rete di relazioni e connessioni che costituisce quel sistema. Ci vuole spirito di sacrificio ma anche coraggio di intraprendere, considerando che da una crisi può nascere anche qualcosa di nuovo. Un compito che in assenza di una regia autorevole e condivisa, e con una tendenza all’individualismo marcata, rendiamocene conto, è ben arduo e tale situazione amplifica non poco le difficoltà. Il giornalista Ferruccio de Bortoli, due volte direttore del “Corriere della Sera”, nel suo nuovo e come regalo di Natale etico e resistente consigliabilissimo libro Le cose che non ci diciamo (fino in fondo), edito da Garzanti, fotografa bene la situazione attuale: «ci salveremo» (con queste due parole ha intitolato il suo libro precedente e a suo modo profetico del 2019) solo se saremo capaci di condividere quel “discorso di verità” che il nostro Paese troppo spesso si è negato. Questa comunità divisa, sfibrata, esausta, gravata dalla tendenza all’assistenzialismo perenne ma capace di tirare fuori il meglio nell’emergenza, soffre di un “non detto” pesante come una montagna, secondo l’analisi di Ferruccio de Bortoli. Parole sante, santissime se calate nella realtà lariana.
Piangere o piangersi addosso o protestare sono atti legittimi, specie in questi tempi ansiogeni e con prospettive nebulose anche nel breve termine, ma poco utili. Elenchiamole. Serve investire qui e ora sui pilastri fondamentali di una comunità moderna che sono saper sostenere l’urto di una crisi senza ricorrere al debito in maniera assistenzialistica, la sanità e l’istruzione di ogni ordine e grado come beni primari senza condizione alcuna, la sostenibilità dei progetti, la valorizzazione del merito, e non ultima la capacità di comunicare e comunicarsi le cose con l’adeguata efficacia che richiedono i tempi difficili che viviamo, senza filtri e senza tabù ma senza cadere nelle facili trappole della finzione, magari sapientemente orchestrata per fini occulti o interessi economici: quanta energia sprecata nel consumo e nella costruzione e nello smontaggio delle cosiddette fake news. Buon Natale a tutte e a tutti.
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