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Non siamo diventati migliori

di Giorgio Civati

Ci diciamo sempre che dovremmo imparare. Che eventi come il Covid ma anche tutto il resto, specie se in negativo, dovrebbe servire da monito, da esempio. In realtà, probabilmente, ce la raccontiamo ma non è così: della pandemia degli slogan, delle speranze, dei moti di orgoglio e vicinanza, ora che stiamo avviandoci alla fine non è rimasto molto. Non siamo migliori, non siamo più solidali di prima, forse non potenzieremo nemmeno la sanità passato qualche anno o anche qualche mese, semplicemente ce ne dimenticheremo.

Lo stesso atteggiamento riguarda tragedie, incidenti e quant’altro, tipo la caduta recentissima della funivia Stresa-Mottarone o, appena più indietro nel tempo, il crollo del ponte Morandi a Genova. Morti che si potevano evitare, che si dovevano evitare.

Ma l’uomo, inteso come massa, è evidentemente ottuso, pressapochista, spesso ingordo di soldi. E così ci ritroviamo mascherine che non proteggono, manutenzioni dei ponti carenti, una funivia che si è trasformata in bara per quattordici persone.

Ecco, se si riuscisse a imparare, tutti noi avremmo di che riflettere. E cambiare. Perché il disastro può essere dietro l’angolo, può essere sempre possibile anche qui, sul Lario. Poi, certo, bisogna vivere con una buona dose di incoscienza e di fatalismo, che però non aiutano quando la fatalità si trasforma in morti, pianti, dolore.

Come sempre, i problemi sono tanti. Una burocrazia folle, i soldi che mancano o comunque se ci sono a volte qualcuno se li ruba, una classe politica che bada al consenso facile (si inaugura un’opera pubblica per la foto sul giornale, poi la si dimentica), uno scarsissimo senso civico diffuso. E proprio quest’ultimo aspetto è il più grave perché se anche ci fossero controlli, protocolli rigidi e attenti, progetti ben fatti e via di questo passo, alla fine un “buco” c’è sempre. E da quello spazio passano incuria, guadagni facili, magari avanzamenti di carriera, lo sguardo benevolo di capi e capetti verso chi si allinea sulla strada del malaffare. A Stresa, per esempio, a quanto pare se le colpe ci sono, potrebbero essere anche condivise. A Genova pure.

Tornando a Como, al nostro territorio, occorre sperare che faciloneria e pressapochismo non rendano pericolose le nostre infrastrutture. Che nessuno abbia voluto risparmiare soldi in fase di realizzazione delle opere, nei controlli successivi e nelle manutenzioni per guadagnare un po’ di più o solo per indifferenza.

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