Categories: Opinioni & Commenti

Occupazione, per la ripresa non bastano i vaccini

di Giorgio Civati

Di proroga in proroga, il problema resta. Ed è quello dei posti di lavoro che, causa pandemia, stanno sbriciolandosi, svanendo, andando drammaticamente persi. Prima era fine dicembre, poi fine marzo, adesso fine giugno ma – salvo proroghe, costose per lo Stato e comunque poco utili – da luglio la rinnovata apertura ai licenziamenti porrà l’Italia intera di fronte a un momento estremamente difficile. Da un anno a questa parte, infatti, a causa del brusco ridimensionarsi dell’attività, dei ricavi e dei guadagni, un po’ tutto il sistema produttivo, commerciale e artigianale si trova ad avere strutture e personale sovradimensionati rispetto alla realtà. Di qui la necessità di tagliare, che è una bruttissima parola specie se applicata a persone che sono famiglie, problemi singoli, realtà non solo di numeri ma di equilibri economici, dignità, futuro.

Del resto la discriminante è quella tra singoli posti di lavoro e aziende. Salvaguardare i primi, a discapito delle seconde? Miope, oltre che impossibile. Le aziende devono avere un equilibrio tra ricavi e costi e, anche se è bruttissimo da dire, tra i costi quelli del personale sono oltre che importantissimi anche pesanti. Mantenere sane le imprese, però, porta a ruota questioni economiche per chi perde il posto, con risvolti anche e soprattutto sociali. Possiamo lasciare allo sbando intere famiglie perché hanno perso un reddito da lavoro? La risposta ovvia ci pare un no deciso, ma da qui scaturiscono altre domande: può lo Stato sobbarcarsi sussidi vari? Che debba ci pare altrettanto doveroso in una società che vuole essere civile, soprattutto nei confronti dei più deboli, ma con che soldi? Come?

A Como, per esempio, la Uil ha recentemente stimato un calo dei lavoratori dipendenti nell’ultimo anno di circa 5mila unità. Almeno tre volte tanto, considerando una famiglia media di tre persone, sono le emergenze e saranno ancora di più da luglio. Serve lo Stato, il Comune, le reti di volontariato. Ma sarà necessaria soprattutto una situazione che permetta e agevoli il reinserimento nel mondo del lavoro di quelli che ne sono stati espulsi. Serve quella ripresa che crei opportunità, ricchezza, occupazione e magari nuova imprenditoria. Servono competenze nuove senza mettere da parte le vecchie conoscenze che ancora servono, che fanno ancora la differenza. Coinvolti ci sono tutti i settori: l’industria, spiegano ancora gli esperti della Uil provinciale, è quella che soffre di più ma nell’ombra della crisi ci sono servizi, turismo, di tutto un po’ insomma.

Volendo essere ottimisti, possiamo pensare che il Covid sta per essere se non sconfitto almeno domato. Tra errori e ritardi e approssimazioni, il mondo, creando in una manciata di mesi i vaccini, ha dato prova di saper reagire. E, però, gli effetti del Covid non passeranno con l’immunizzazione: il mondo, intorno a noi, è cambiato forse più di quanto siamo cambiati noi “dentro”. E tra i cambiamenti c’è proprio la questione lavoro. Del poco lavoro, che non basterà a tutti.

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