di Mario Guidotti
L’argomento è scivoloso. Per più motivi: ci sono importanti interessi commerciali, ci sono rischi di fallimento del piano vaccinale regionale e nazionale, che già scricchiola non poco, ci sono di mezzo le paure più ancestrali delle persone e ci sono cattive abitudini, vizi e limiti in ciascuno di noi.
Insomma, stiamo parlando del vaccino di AstraZeneca, ora rinominato Vaxzevria, praticamente impronunciabile.
In dicembre 2020, 4 mesi fa, non un secolo, inneggiavamo alla scienza per aver prodotto in molto meno di un anno dei vaccini anti-Covid: un miracolo dicevamo.
Ora siamo qui a fare le pulci a uno di questi perché, pur proteggendo al 60% dalla malattia e al 100% dalla mortalità e dalla espressione grave della stessa, sembra (dati Ema 4 aprile) che sia associato a 222 casi di trombosi, dei quali 33 mortali, su circa 34 milioni che hanno ricevuto la prima somministrazione.
Premesso che ogni singolo paziente ha la sua dignità e diritto alla propria integrità, è quasi più probabile essere colpiti da un fulmine o da un meteorite.
La Scienza sta giustamente indagando, si cerca di capire innanzitutto se l’associazione è causale o casuale.
Infatti quotidianamente nel mondo tante persone sono soggette a fenomeni trombotici (ebbene sì, i tabagisti maggiormente, ma pochi smettono di fumare), e quindi è da dimostrare il nesso causa-effetto.
In caso affermativo, si cercherà di stabilire se dipende da un’idiosincrasia individuale o dal sommarsi di altri fattori rischio di natura trombo-filica, cioè una tendenza ad andare incontro a trombosi, come le persone che fumano, quelle che hanno una storia aperta o chiusa di tipo oncologico, altre con forte familiarità, altre ancora che assumono estro-progestinico. Ma soprattutto, le persone che sommano più di una di queste condizioni insieme.
Ancora, si ipotizza una possibile reazione immunitaria errante dose-dipendente. Comunque sia, c’era da aspettarsi che un vaccino prodotto così rapidamente necessitasse di verifiche. Che non vuol dire rinuncia e ritiro dal mercato. Si chiamano “studi di real life”, cioè nella vita vera, che seguono gli studi clinici registrativi.
Ma, dirà il cittadino, quale è la differenza? Nel primo caso sono numeri più limitati, ovviamente non si può sperimentare un farmaco, o un vaccino, su milioni di persone. Lo si può fare su migliaia, poi c’è quella che si chiama farmacovigilanza, cioè si seguono gli effetti, positivi e negativi o avversi, e appunto si segnalano. Negli studi clinici, e lo sappiamo bene noi medici che maneggiamo i farmaci da sempre, le popolazioni scelte sono fin troppo “pulite”, perfette, diversa da quelle “sporche” appunto della vita reale, dove gli individui sono portatori di altre malattie, assumono altri farmaci e hanno vite più “complicate”.
L’unica certezza è che tutti i farmaci e vaccini comportano rischi e attualmente, per voce di Ema, l’ente regolatorio europeo, i benefici sono largamente superiori, soprattutto nelle fasce di età avanzata dove il Covid colpisce più duro, ed è proprio a queste che è stato deciso di proporlo.
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