di Adria Bartolich
Con una frase, nella nota di aggiornamento del Def 2019 (il Documento di economia e
finanza), “Ripensare i percorsi di formazione e abilitazione del personale
docente”, si chiude la fase dei concorsi
a scadenza annuale della “Buona scuola” e dei FIT (Formazione iniziale e
tirocinio per i docenti con almeno 180
giorni di servizio nelle scuole). Tornerà quindi l’abilitazione, almeno così
sembra, ma quale?
Perché nel ginepraio assoluto che ha caratterizzato la storia del reclutamento
nella scuola, le abilitazioni sono state una variegata gamma: le SSIS, Scuole
di specializzazione all’insegnamento, i
TFA, Tirocini formativi attivi , i PAS, Percorsi abilitanti speciali , infine i
FIT.
Stiamo parlando sempre di corsi post laurea e che di norma
vengono seguiti durante il periodo di lavoro, con costi non irrilevanti per gli
insegnanti ma anche per l’amministrazione che deve garantirne la
frequenza, dato che sono rivolti
soprattutto ai precari.
Per parlare chiaro, sono nella quasi totalità dei casi la
soluzione per regolarizzare una serie di
situazioni e rapporti di lavoro già incardinati pur senza l’abilitazione
necessaria all’insegnamento, presenti sia nella scuola pubblica che in quella
paritaria. In altre parole sanatorie.
Che cosa ci impedisca di uscire da un siffatto sistema fatto
di tortuosità e incognite (non si sa mai quanto durino le norme che lo regolano
e la gran parte delle volte sono ad hoc)
è uno dei tanti punti oscuri della vita di questo Paese.
Non certo l’articolo della Costituzione che prevede sì i concorsi come modalità d’assunzione, ma specifica
salvo i casi stabiliti dalla legge,
la cui chiosa esclude la perentorietà della norma aprendo ad una
miriade di ulteriori possibilità, tra l’altro ampiamente percorse nella storia
della Repubblica, e sempre rimaste tortuose.
Perciò continuiamo testardamente a nutrire la ragionevole
speranza che il sistema delle abilitazioni e delle assunzioni si semplifichi, che so, semplicemente
prevedendo, per quanti volessero insegnare, di
sostenere un certo numero di esami universitari di pedagogia, didattica
e materie specifiche; o con un corso di studi che possa essere anche, almeno in
parte, specifico per l’insegnamento per
gli ordini di scuola diversi dalla scuola per l’infanzia e primaria;
oppure, una volta acquisita la laurea, semplicemente optando
per un periodo di lavoro svolto a
scuola a cui fare seguire l’eventuale assunzione, programmandole secondo le esigenze e non con
alchimie pseudo burocratiche che
non solo non diminuiscono, ma al contrario, alimentano il precariato.
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