Categories: Opinioni & Commenti

Perdono fiscale e giustizia sociale

di Giorgio Civati

La chiamano “pace” ma potrebbe essere definita anche, più banalmente, condono. È quella che il governo sta varando insieme alla manovra economica per il 2019 e riguarda la cancellazione dei contenziosi fiscali verso lo Stato in cambio di un sostanzioso sconto. Su interessi, sanzioni e, a quanto pare, anche sul capitale dovuto. La sanatoria annunciata consentirebbe di pagare il 6, il 15 o il 25% del debito dovuto in funzione della singola situazione patrimoniale, con un tetto massimo di 500mila euro per caso, aperta a cartelle esattoriali, debiti fiscali e previdenziali e altro ancora. Incasso atteso, circa 3,5 miliardi di euro. Pace fiscale o condono, qualunque sia la definizione, il provvedimento ha qualche vantaggio e molte pecche. Chiuderebbe situazioni che si trascinano da anni e che probabilmente andrebbero avanti ancora a lungo, consentirebbe un incasso quasi immediato a uno Stato tanto bisognoso di entrate, metterebbe fine all’angoscia di qualche contribuente. E, però, rappresenterebbe anche uno schiaffo. L’ennesimo schiaffo a chi ha sempre pagato tutto e per tempo, facendolo sentire almeno un po’ un ingenuo. Forse anche un imbecille, visto che altri, molti altri, non solo ignorano regole e scadenze ma, alla fine, risparmiano anche. Quella dei condoni – fiscali, edilizi o di qualunque genere – ci pare infatti un’arma a doppio taglio. Che va usata con prudenza, raramente, per non ingenerare l’attesa diffusa della prossima sanatoria, del futuro regalo. Per non aumentare l’irregolarità diffusa. Se, infatti, ci sono probabilmente molti casi per cui serve un colpo di spugna sul passato, siamo certi che ci siano anche situazioni di leggerezza del contribuente, di menefreghismo, di incapacità nel fare i conti. Una persona, un’attività artigianale o commerciale, un’azienda sono tutte realtà che devono produrre ricchezza, reddito, utili. In misura sufficiente anche a pagare le tasse. Se non succede, non si può semplicemente appellarsi al “perdono” collettivo, dello Stato e quindi di tutti gli altri cittadini, imprenditori, contribuenti. E, soprattutto, a nostro parere non andrebbe cancellato addirittura il debito originario: può avere un senso annullare sanzioni e interessi, che spesso il fisco appioppa in maniera quantomeno esosa, ma la tassa, quella, dovrebbe essere pagata.

A rate, senza altre penalizzazioni, ma tutta. È una questione di equità, di rispetto per gli altri, per i lavoratori dipendenti per esempio che in busta paga hanno già le trattenute – tutte e subito – ogni mese, di Irpef, Inps e ogni altro tributo dovuto. È giustizia sociale, che non andrebbe mai amministrata “in massa”. Sappiamo bene che valutare caso per caso risulta quasi impossibile, che lo Stato è guardiano e controllore con molti limiti e pochi mezzi, ma un regalo agli eventuali furbetti del fisco è una sconfitta per tutti.

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