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Quando la semplificazione resta uno slogan

di Giorgio Civati

Covid-19 a parte – sempre che si possa mettere da parte una tragedia di dimensioni così grandi e per di più non ancora conclusa – c’è un argomento che merita attenzione, che ne meriterebbe ben di più e che invece pare solamente terreno di scontro politico, area di manovra per questo o quel partito, occasione di “marketing” per ministri e governanti vari. È la semplificazione, tema caldo in queste ore perché oggetto di un decreto approvato dal Consiglio dei ministri due giorni fa.

“Una scatola vuota” hanno detto alcuni, “trampolino di lancio per il Paese” ha rimarcato il primo firmatario, il premier Giuseppe Conte. Vista da qui, da quel profondo Nord che è Como, la questione non appassiona. Cose romane, viene da dire. E poi di chiacchiere sulla semplificazione della macchina burocratica pubblica ne abbiamo sentite talmente tante che siamo vaccinati contro i facili entusiasmi: dopo un fiume di parole, cambierà poco o niente.

Del resto c’è un pezzo di Italia che sulla burocrazia vive e prospera.  Quasi tutti noi, di fronte a un modulo complicato oltre ogni logica, davanti a una norma o a un regolamento che solo per capire viene mal di testa, siamo messi in condizione di inferiorità. Siamo poco più che sudditi, e probabilmente dall’altra parte c’è chi vuole tenerci in questa situazione. Già, perché l’altra faccia della medaglia è che in una burocrazia caotica e incomprensibile tanti si ritagliano un ruolo, un potere. Dall’anagrafe comunale dell’ultimo paesino ai ministeri romani, dalla scuola al catasto, dalla giustizia al mondo del lavoro, dalla sanità al fisco la burocrazia è un moloc spaventoso che tutto e tutti minaccia e che rallenta, invade, complica  la vita quotidiana di ciascuno di noi.

Semplificare, insomma, sarebbe davvero una grande rivoluzione. Che migliorerebbe la vita concreta, quotidiana e magari anche banale degli italiani. Ma non si è mai fatto veramente. Anzi, la situazione è andata peggiorando. Vero, senza regole stringenti ci sarebbero stati più imbrogli, più malaffare, più tangenti e malavita. Ma non è che, con tutta questa burocrazia e questi controlli, le cose siano andate bene: nonostante le regole, l’Italia è il Paese delle ruberie, dell’evasione fiscale, dei concorsi truccati, dei lavori pubblici lenti o addirittura fermi per colpa di cavilli, norme e protocolli.

Da Roma a Como vale più la forma che il contenuto, pochi si prendono la responsabilità di decidere o – peggio – di comandare, e tutto vivacchia. Per dire, quando il sindaco di Como Mario Landriscina annunciò l’intenzione di reintrodurre la figura dello stradino comunale, immaginiamo avesse tutte le migliori intenzioni: badile, scopa, furgoncino e un po’ di catrame o cemento, ed ecco buche rappezzate al volo, tombini aggiustati in un momento, paletti raddrizzati, come succedeva decenni fa. Il tutto senza gare d’appalto, senza burocrazia, senza perdite di tempo. Vogliamo credere che non se ne sia dimenticato ma che non ci sia riuscito. Evidentemente semplificare è stato sempre e solo uno slogan: sarà così anche questa volta?

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