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Quando lo spettacolo è il nostro ossigeno

di Lorenzo Morandotti

Una celebre frase di Dostoevskij recita : «È nella separazione che si sente e si capisce la forza con cui si ama». In attesa di celebrare degnamente il grande scrittore russo di cui cadrà il bicentenario nel 2021 (magari rileggendolo), meditiamo su queste parole che ha pubblicato da poco sulla sua pagina Facebook  una musicista comasca di adozione, Noemi Serrano, riferendosi all’ennesimo doloroso strappo che gli artisti e il mondo dello spettacolo subiscono a causa del coronavirus e delle sue conseguenze. Una distanza, un silenzio imposti dalle misure sanitarie anticontagio che per molti operatori delle arti e dello spettacolo sono un bavaglio insopportabile, oltre che la premessa per un periodo di disoccupazione a tempo ahimè per ora indeterminato.

Fanno venire in mente, le  considerazioni di Noemi, altre parole che sono suonate come l’inizio della Quinta di Beethoven (altro gigante di cui ricorre il 250° della nascita quest’anno): le parole sono quelle di Riccardo Muti al premier Conte. Il direttore d’orchestra ha detto tra l’altro: «Chiudere le sale da concerto e i teatri è decisione grave.

L’impoverimento della mente e dello spirito è pericoloso e nuoce anche alla salute del corpo. Definire, come ho ascoltato da alcuni rappresentanti del governo, come “superflua” l’attività teatrale e musicale è espressione di ignoranza, incultura e mancanza di sensibilità». Conte ha risposto a Muti rimarcando la gravità della situazione e la necessità di scelte obiettivamente dolorose.

Prima di tutto la salute, ci mancherebbe, ma è chiaro che non basta sopravvivere, occorre vivere. Ossia tornare, nei limiti che saranno in vigore, ad ascoltare un brano musicale dal vivo, ad applaudire un attore o un balletto, a condividere un’emozione che dà senso alla vita come l’ossigeno ne rende possibile la permanenza. Intanto possiamo prepararci, guardare oltre l’urgenza dell’immediato quotidiano che ci impone silenzi e chiusure. E prepararci alla rinascita, al ritorno.

Vivendo magari il rinnovato periodo di quarantena in modo meno improvvisato e ossessivo del precedente: abbiamo imparato a usare le tecnologie per tenerci aggiornati e uniti fin dove possibile, usiamo il nostro tempo e il nostro spazio per capire il vuoto, imparare a desiderare di nuovo ciò che ci manca.

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