di Agostino Clerici
A parte qualche nostalgico di Rifondazione Comunista, la
politica italiana deve registrare un unanime consenso all’esito della vicenda
giudiziaria di Cesare Battisti, il terrorista pluriassassino che, dopo
trentotto anni di latitanza, è stato finalmente affidato alle patrie galere:
arrestato sabato pomeriggio in Bolivia, ieri è giunto all’aeroporto di Ciampino
ed è stato poi incarcerato nel penitenziario di Oristano.
Del resto, Battisti difficilmente avrebbe potuto suscitare
simpatie, perché il terrorista transfuga in Francia, Messico e Brasile, ci ha
messo largamente del suo per farsi odiare dagli italiani, anche quelli che
forse avrebbero potuto invocare qualche attenuante nei suoi confronti. Sempre
strafottente davanti alle telecamere, sicuro delle coperture a lui assicurate
da intellettuali e governanti e forse anche da ambienti della malavita locale, sprezzante
verso le vittime dei quattro omicidi compiuti con ferocia demenziale tra il
giugno 1978 e l’aprile 1979, per cui è stato condannato definitivamente con due
ergastoli. In fondo, Battisti in carcere ci va, pur con qualche decennio di
ritardo, perché assassino, e non certo per le sue idee, che comunque la storia
ha già ampiamente seppellito.
Certo, suscita ancora scandalo come abbia potuto – dopo
l’evasione dal carcere di Frosinone nel 1981 – nel lungo periodo della vita
dorata in Francia e Brasile, godere di forti appoggi culturali e politici, da
parte di personaggi che evidentemente pesavano il valore della vita umana con
bilance tarate sul colore politico di chi brandiva la pistola, e credevano che
in nome delle idee si può uccidere. E da questo punto di vista, è scandaloso
che una cinquantina di loschi personaggi degli anni di piombo (un nome su
tutti: Giorgio Pietrostefani, responsabile dell’omicidio del commissario
Calabresi) vivano ancora indisturbati – nonostante le condanne pendenti in
Italia – in nazioni del nostro continente come la Francia. Un altro segnale che
L’Europa è poco più che un’indicazione geografica…
Ebbene, dal 1981 è potuto accadere che la vita di un
pluriassassino come Battisti sia stata protetta da politici osannati come il
presidente francese Mitterand o quello brasiliano Lula da Silva, e da
intellettuali coccolati dal pubblico quali il filosofo Bernard Henry-Levy o
scrittori come Daniel Pennac e Gabriel Garcia Marquez. Anche in Italia in
queste ore imperversa l’ipocrisia: c’è oggi chi tace, ma negli anni tra il 2001
e il 2004 non risparmiò parole e firme in difesa del «perseguitato» Cesare
Battisti, contro il suo arresto e la sua estradizione. Nemmeno un cenno,
invece, alle famiglie delle umili persone del popolo, che egli assassinò
barbaramente. Sarebbe troppo pretendere almeno un tardivo mea culpa da certi
illustri personaggi della cultura (come Erri De Luca, tanto per fare un nome)?
Lunga vita a Cesare Battisti, allora, soprattutto adesso che
si trova nel posto in cui avrebbe dovuto essere da quarant’anni. Nessun
compiacimento per l’ergastolo, sia chiaro. La lunga vita gli serva per espiare
la colpa più grave che ha accumulato con la (bella) vita rubata in questi anni
di latitanza: il non avere mai chiesto perdono per il male compiuto, uccidendo
e odiando. Le idee può tenersele, ergastolane come lui, rimasuglio del passato
che fu. Ma abbia il coraggio di pentirsi per delitti che continuano a far
soffrire. La pena troverebbe così la sua medicina.
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