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Quei giovani italiani senza l’italiano

di Agostino Clerici

«L’italiano e la rete, le reti per l’italiano». Non stiamo parlando del digiuno di goal della nazionale di calcio, in cerca di reti per rilanciarsi. L’italiano di cui si parla è la lingua italiana, e la rete è il mondo variegato di internet e dei suoi social network. In che rapporto sta il web con la nostra lingua? Il tema verrà sviluppato con iniziative organizzate in diversi Paesi del mondo proprio in questa “Settimana della lingua italiana nel mondo” (giunta alla diciottesima edizione).

Il nostro idioma è la quarta lingua più studiata nel mondo, dopo inglese, spagnolo e cinese. I primi a meravigliarci di questa notizia siamo noi italiani. Eppure basterebbero quattro o cinque considerazioni per rendere ragione di questo dato. La lingua italiana – pur non essendone la lingua ufficiale, che è il latino – è la lingua viva della Chiesa cattolica, parlata tra prelati in Vaticano e nel mondo e usata dal Papa stesso (che pure non è italiano, come del resto non lo erano i suoi due predecessori).

Una grande parte dei 40 milioni di emigrati italiani diffusi nel mondo (in particolare in America) sono tuttora bilingui e conoscono e parlano l’italiano. La letteratura italiana è, dal XIII secolo in poi con uno sviluppo continuo, una delle prime nel mondo. Sul piano culturale, artistico e storico il nostro Paese ha un ruolo di grande protagonista: pensiamo solo ai milioni di appassionati della lirica e del bel canto, e l’italiano è la lingua principale del melodramma. Potremmo aggiungere anche altri due settori emergenti nel mondo in cui l’Italia è ai primissimi posti: la gastronomia e la moda.

Si direbbe che il problema della lingua italiana non è nel mondo ma in Italia! Il linguaggio del web e soprattutto quello dei social network ha indubbiamente modificato il rapporto che gli italiani hanno con la loro lingua. Cito solo due emergenze che mi sembrano aver favorito non poco l’abbandono di un buon italiano parlato e scritto.

In primo luogo, il progressivo impoverimento del vocabolario – che per tanti è al disotto della soglia dei 500 vocaboli, considerata come il minimo indispensabile per imparare una lingua straniera – aggravato anche dall’utilizzo di parole abbreviate o storpiate. C’è poi il sempre più ampio uso di vocaboli stranieri (in inglese soprattutto) che sostituiscono le appropriate parole della lingua italiana, che quindi non verranno mai imparate e usate.

Naturalmente la responsabilità non è da ascrivere unicamente alla rete. C’è un equivoco che chiama in causa anche la scuola, dove alcune volte sembra che il problema sia unicamente quello di sostituire il libro con il tablet. Ma così si confonde il livello degli strumenti con quello dei contenuti.

Una fase di nuova acculturazione delle giovani generazioni – sicuramente utilizzando anche i più moderni media – non può che partire da un serio recupero dell’apprendimento e dell’uso appropriato della lingua italiana. Non certo per parlare come dei libri stampati, ma per essere in grado di assimilare tutta quella ricchezza che la nostra bella lingua ha accumulato in otto secoli di storia, e che all’estero sembra molto apprezzata.

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