Campione e paratie, il conto dell’ingordigia

di Giorgio Civati

C’è una considerazione comune possibile tra la crisi della
casa da gioco di Campione d’Italia, e quindi di tutto il paese, e lo scandalo
delle paratie anti esondazione, forse in questi giorni a una svolta? A nostro
modo di vedere sì, perché in entrambi i casi – pur diversissimi – cogliamo come
fondamentale una specie di voglia di approfittare di una situazione
evidentemente anomala, una sorta di ingordigia che ha poi prodotto disastri.

Partiamo da Campione. Che quel Casinò fosse un’anomalia lo
sapevano tutti, così come tutti si rendevano conto che il paese su quello viveva.
E, però, almeno fino a qualche anno fa, nessuno sembrava preoccuparsene,
nessuno ipotizzava tempi di “vacche magre”. Anzi, un posto di lavoro
nell’enclave sembrava una vincita al lotto. Come sta andando è tragicamente
cronaca, soprattutto per gli ultimi di quella catena di ricchezza e sperperi, i
dipendenti, che ora pagano miopie e una grandeur non certo imputabile a loro.
Ne hanno goduto? Certamente sì, basta pensare a stipendi altissimi fino a
qualche anno fa, ma non erano loro a decidere. Altri, per esempio, hanno voluto
una sede faraonica e costosissima che forse ha rappresentato l’inizio della
fine.

Insomma, c’era una specie di miniera d’oro: tutti hanno
pensato a come sfruttarla e nessuno si è posto il problema che il filone aureo
prima o poi potesse esaurirsi.

Un po’ come è accaduto con le paratie: c’erano dei fondi per
la ricostruzione legati alla Valtellina e a territori veramente disastrati,
dissestati dall’acqua, messi in ginocchio. Soldi che avrebbero potuto arrivare
fino a Como e così è stato.

A distanza di decenni, con preventivi triplicati, processi e
una lampante dimostrazione di approssimazione gestionale dell’idea da parte di
un po’ tutti, resta la sensazione che si sia tentato di arraffare fondi –
lecitamente, dal punto di vista legale: era consentito e Como l’ha fatto – con
poche idee confuse e con un’unica parola d’ordine di fondo: approfittiamone.

Ecco, è questo senso dell’approfittare che ci lascia
sgomenti.

Il Casinò era “ricco”? E allora via con stipendi e compensi
e spese senza limite. Lo Stato elargiva fondi per opere idrogeologiche di
difesa del territorio? E perché non anche a Como, anche se probabilmente
c’erano paesini o torrenti o ponti in Valtellina che, loro sì, ne avevano
bisogno?

Va detto che in questa ingordigia  noi comaschi non siamo soli. È così ovunque,
almeno in Italia, ma questo non giustifica.

Il cantiere della paratie coi suoi 12,9 milioni di base
d’asta per la gara europea, avviata un paio di giorni fa da Regione Lombardia,
ultima voce di una spesa “impazzita”, e il lungolago “ferito a morte” per
decenni; Campione d’Italia prima eden agognato e ora in ginocchio.

Ubriachi di soldi, soldi facili, li abbiamo presi, usati,
sperperati: pensavamo di essere furbi, c’è rimasto il conto da pagare.

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