di Agostino Clerici
«Usanza medievale per cui, a una determinata ora della sera, gli abitanti di una città erano tenuti a coprire il fuoco con la cenere per evitare incendi». Così il vocabolario recita alla voce «coprifuoco». E subito aggiunge un secondo significato, per così dire derivato: «Divieto straordinario di uscire durante le ore serali e notturne imposto dall’autorità per motivi di ordine pubblico, in situazioni di emergenza».
Fino a qualche mese fa tutti noi, quando sentivamo la parola «coprifuoco», pensavamo alla guerra e in effetti il termine sembrava relegato a questo ambito. Senonché abbiamo dovuto diseppellirlo dalla cenere in tempo di pace come misura per sfavorire il contagio da coronavirus.
E si direbbe che il coprifuoco stia suscitando un focolaio di polemiche di sapore filosofico e politico.
C’è chi sostiene che lo Stato non possa stabilire che cosa devo fare io nella gestione del mio tempo, per cui il coprifuoco come imposizione generale è una misura insostenibile entro una società fondata sulla libertà degli individui. Dall’altra parte si sostiene, però, che la società è fondata sul delicato equilibrio tra bene comune e libertà individuale, per cui chi ha ricevuto dai cittadini il compito di assicurare il benessere sociale è legittimato anche ad imporre un coprifuoco.
Certo, potrebbe anche affidarsi alla responsabilità dei singoli e limitarsi ad un semplice consiglio, magari ad una severa esortazione, ma evidentemente – e non a torto, devo riconoscerlo – preferisce imporre una norma generale, intimando un coprifuoco chiaro e distinto in cui c’è un’ora di inizio e un’ora di fine: dalle 22 alle 5. Naturalmente si prevedono esigenze di lavoro, salute e necessità, che possono esentare dal rispetto della norma e che devono essere autocertificate.
Credo che la decisione del coprifuoco – mantenuto negli stessi orari pur entro un piano di graduale riapertura delle attività – faccia parte del famoso «rischio ragionato». Arriva la bella stagione, le temperature serali aumentano, c’è una grande voglia di uscire, magari di andare a cena con gli amici. Sono pensieri malvagi, questi? Affatto, anzi sono desideri legittimi e comprensibili, a maggior ragione dopo mesi di fatica e di isolamento tra le mura domestiche. E proprio per questo l’autorità pubblica, che si trova a dover combattere contro un virus che non ha coprifuoco da rispettare, deve proteggere i cittadini dal loro stesso legittimo desiderio di libertà e limitare, con un orario dal sapore punitivo, l’anelito a godere di spazi di convivenza che possono ancora costituire pericolose occasioni di contagio.
La misura del coprifuoco può sembrare coercitiva, ma in realtà è una misura preventiva e quindi provvisoria e rivedibile, non appena il rischio sarà oggettivamente diminuito e potrà essere gestito con un altro ragionamento, più in linea con il desiderio dei cittadini.
Si può dibattere sul coprifuoco? I nostri politici lo fanno e si sprecano tante parole – forse troppe – anche nei talk-show per perorare la causa di chi vorrebbe rimanere fuori casa fino alle 23 o a mezzanotte o fino a quando vuole.
Il proverbio dice che «la pazienza è la virtù dei forti». E quelli che riaprono lo sono, forti, se per il momento accettano di coprire il fuoco per proteggere la città dall’incendio che potrebbe ancora colpirla.
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