di Marco Guggiari
Sono i giorni del bilancio di un anno e dell’inevitabile sguardo, sebbene nebuloso, verso il futuro. Viviamo un tempo in cui il clima di grande sforzo nazionale e il senso di solidarietà diffuso per la pandemia si sono ridotti. Oggi prevalgono gli stati d’animo negativi. La situazione generale è cambiata rispetto alla prima ondata del Covid. Siamo tutti più stanchi e provati. La contrapposizione prevale sulla concordia. Il sentimento di comunità della scorsa primavera, così spiccato e per certi versi sorprendente, si è perso per strada.
Uno storico chiamato a raccontare l’Italia tra cinquant’anni non si limiterà a rievocare questo orribile 2020, ma si soffermerà sui cambiamenti, non sempre negativi, che esso ha imposto nella vita di tutti. I politici hanno dovuto affidarsi completamente agli scienziati (non l’avevano mai fatto prima d’ora); l’ormai imperante populismo, di conseguenza, è entrato in crisi; al “Vaffa-Day” è succeduto il “V-Day”, il giorno del vaccino, destinato a diventare il personaggio del 2021, in barba ai no-Vax. Agli uffici prestigiosi nelle aziende è succeduto il lavoro a distanza, anche da casa, con tanti saluti alle sedi di rappresentanza e con il rischio reale di un impoverimento del lavoro e delle relazioni umane.
Il più recente sondaggio di Nando Pagnoncelli per conto del “Corriere della Sera” dà conto di quanto sia cambiato il nostro Paese in pochi mesi. I tre problemi considerati principali per l’Italia e indicati dalle persone interpellate vedono al primo posto occupazione ed economia, poi la sanità e sul terzo gradino il funzionamento delle istituzioni e la situazione politica. Giù in basso, nel sondaggio, sono lontanissime le questioni dell’immigrazione e della sicurezza, ancora imperanti meno di un anno fa.
Il coronavirus ha avuto l’effetto di un acceleratore del tempo. In un battito d’ali sembra trascorsa una generazione. E tra le priorità percepite per la propria zona di residenza, rispetto al livello nazionale, avanzano i problemi di ambiente e mobilità. Como non fa eccezione e ci si stupirebbe del contrario, viste le sue questioni irrisolte. Al nostro territorio arriveranno dalla Regione 323 milioni e mezzo di euro per nuove strade, opere ferroviarie, sicurezza della viabilità e dei ponti. È una cifra significativa, presa a sé in assoluto, ma solo lontanamente in grado di soddisfare esigenze importanti. Iniziamo da lì, però. Siamo al palo e abbiamo bisogno di infrastrutture: la variante della Tremezzina, la prosecuzione della tangenziale, qualche parcheggio per la città, perso nel porto delle nebbie, il viadotto dei lavatoi da far approdare alla sicurezza, anche simbolicamente. Che il nuovo anno ci porti passi in avanti e qualche conclusione definitiva.
Poi ci sono le grandi sfide, spuntate dal nulla nel 2020 e intuibili da ognuno: la vaccinazione, la più imponente mai fatta (inizia oggi anche a Como, con i primi vaccinati tra medici e infermieri); la pandemia da porre sotto controllo, evitando la già fin troppo profetizzata terza ondata; il piano dettagliato, che ancora manca, per avere i soldi promessi dall’Europa; il sostegno effettivo alle attività economiche messe in ginocchio e ai lavoratori a rischio, visto che a fine marzo finirà il blocco dei licenziamenti; il ritorno a scuola in maniera stabile.
Da ultimo, ci sono le incognite: le varianti del virus e la possibile crisi di governo. Il nostro è l’unico Paese al mondo che la ipotizza, come se fosse normale, nel pieno di una pandemia. Ma noi siamo speciali e alcuni politici hanno un ego smisurato.
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