Il Coronavirus e l’emergenza educativa

di Adria Bartolich
Un articolo uscito sul Corriere della Sera in questi giorni riportava, con tanto di foto, una interessante soluzione progettata a Hangzhou, nella provincia di Zhejiang in Cina, per affrontare quella che noi chiameremo la fase 2, cioè il rientro a scuola dopo la lunga permanenza a casa a causa del Covid-19.
Naturalmente la solita mascherina, e una specie di cappello alla quale sono stati aggiunti due lunghi bastoni in cartone, oppure lunghi palloncini laterali, che impediscono l’avvicinamento delle persone e costringono perciò a mantenere le distanze.
Il cappello trae spunto da una brillante soluzione trovata dagli imperatori della dinastia Song, per impedire che i nobili e i dignitari parlassero a bassa voce tra di loro ordendo complotti. È probabile che ai tempi abbia funzionato e siamo certi funzionerà anche ora, per i bambini cinesi; per i nostri, fatto salvo forse il primo giorno, temo sarebbe un esperimento del tutto fallimentare.
I cinesi sono abituati a un’autodisciplina, e anche a una disciplina esterna, che noi nemmeno ci sogniamo. Per intenderci là i maestri applicano ancora le punizioni corporali e i bambini hanno un rapporto con il lavoro che si attiva già in tenera età. I bimbi aiutano i genitori nelle loro attività e fanno cose che qui sarebbero considerate come sfruttamento del lavoro minorile.
Perchè lo dico? Perchè sulla famosa fase 2 le polemiche non cessano. Qualcuno, imprenditori e molti genitori, spingono per accelerare le riaperture, ed è comprensibile perchè ogni giorno di chiusura ci costa miliardi e numerose attività probabilmente chiuderanno; non sottovalutiamo il problema che c’è ed è grave. Altri invitano ad essere prudenti, l’effetto Germania è lì da vedere: riapro e si alza il picco dei contagi. In Italia, almeno nelle regioni più colpite dal virus, aprire prima di settembre sarebbe un’imprudenza.
Certo esiste il problema della collocazione dei figli con la ripresa del lavoro in presenza. Così come esiste il problema di riuscire a lavorare in remoto con la presenza dei figli a casa. I bambini sono impegnativi, specialmente quelli di queste generazioni cresciuti con il “tutto è permesso”. I genitori stanno provando di persona la differenza tra l’educare senza regole o quasi un bambino e poi affidarlo ad altri, maestre, professori, allenatori, corsi, e gestirlo invece h24.
Alcuni non ne possono più al punto di esplicitarlo direttamente agli insegnanti chiedendo addirittura scusa per la propria intemperanza. Avete capito bene. No, non del figlio. Della madre! Non c’è nulla che insegni più dell’esperienza diretta. Forse è il momento giusto per una bella riflessione sull’emergenza educativa .