Operatori sanitari: il rapporto complesso con i familiari

di Mario Guidotti
Accanto al rischio ed al disagio quotidiano sul lavoro, gli
operatori sanitari devono fare i conti con la propria vita privata, per chi ne
ha ancora una. Seppur protetti ed adeguatamente bardati, contattiamo malati
infetti ed altri sanitari potenzialmente incubatori e veicoli del virus. Come
facciamo a casa? Ci isoliamo anche se stiamo bene?
Seppure le conversazioni in ospedale siano ridotte al
lumicino, ci scambiamo le esperienze. Chi può si isola in casa propria:
cameretta, bagno a parte, pasti sul vassoio, armadi separati, ciascuno i propri
indumenti da lavare. Una vita da randagio. Devo dire che è la prima volta in
vita mia che rivaluto gli anni di collegio e la Scuola di Sanità Militare, ma
mi scuso subito per aver personalizzato.
I rapporti umani mancano: come tutte le cose che si danno
sempre per scontate, non lo devono essere mai. Ci accorgiamo adesso che, a
parte i malati, non tocchiamo più nessuno da giorni. Fa impressione, anche a
chi era tendenzialmente restio a dispensare “abbraccioni”, “bacioni” e
“formidabili strette di mano” anche prima di mettersi a tavola al club.
Da un micro-sondaggio si sente di tutto, ma perché dipende
dalle situazioni personali.
Chi isola i genitori anziani, veri fuscelli fragili in
questa tempesta perfetta, scusate: maledetta. Non è facile, sappiamo quanto
bisogno abbiano di una parola, oltre che di cure, medicine, cibo, igiene. Molti
operatori hanno un solo genitore, uno strazio saperlo da solo, in preda alla
Tv, portatrice di cattive notizie.
Altri si sono proprio staccati dalla famiglia, andando a
vivere in una seconda casa, magari neanche vicinissima, o presso alloggi in
affitto. A proposito: tra i gesti di solidarietà, molti appartamenti, camere e
case sono state messe a disposizione gratuita degli operatori sanitari. Bel
gesto, alleggerisce il cuore, molto pesante in questi giorni. Come dolci,
pizze, cibo che arriva gratuitamente e giornalmente nei reparti dagli esercenti
di Como. Ma caspita, come è difficile non toccare il proprio coniuge, compagno,
figlio, genitore, nipotino.
Metteteci pure che da anni la Sanità sta diventando sempre
più femminile e tutti sanno come le donne sorreggano le famiglie. Chi lo fa?
Così le nostre colleghe in ospedale si preoccupano che i ragazzi stiano sereni
a casa, facciano i compiti con i papà, che non sempre sono stati allenati a
farlo. E gli anziani genitori prenderanno correttamente le medicine? Avranno
cibo adeguato?
La nostra generazione aveva solo ascoltato racconti simili
ma mai avrebbe immaginato di essere mandata in una guerra neppure dichiarata.
Tra le angosce quotidiane scorre anche quella di che cosa
potrebbe succedere in un secondo tempo alla propria famiglia, fisicamente o
virtualmente abbandonata per l’ospedale, con la paura di trovare anche lì
macerie come alla fine di tutte le guerre.
La vera speranza di tutti resta che questa sciagura ci lasci
tutti migliori dopo che ciascuno avrà ridisegnato dalle fondamenta quella che
è, o dovrebbe essere, la scala dei valori della vita.