Disabilità e scuola, regna il caos

di Adria Bartolich
Il Tar del Lazio ha accolto il ricorso dell’associazione degli insegnanti di sostegno Ciis e delle famiglie dei ragazzi down Coordown contro la nuova disciplina del Glo (Gruppo di lavoro per l’inclusione) e la modulistica connessa, previsti per i ragazzi diversamente abili.
Nel merito avevo già espresso tutte le mie perplessità sia sulle modalità organizzative del Glo sia sulla modulistica che considero un vero delirio per la ripetitività, confusione, difficoltà che la contraddistingue e che tra l’altro non raggiungeva l’obiettivo primario che la necessità di compilare un modulo, in questo caso sulla situazione di un ragazzo, avrebbe dovuto avere, cioè fare un quadro della sua situazione e poterlo trasmettere eventualmente al docente che dovrebbe prenderlo in carico in una fase successiva. Una incomprensibile accozzaglia di dati e valutazioni segmentate senza nessuna organicità.
Certo la sentenza del Tar arriva ora ad anno scolastico già iniziato e questo crea un vuoto, anche se nessuno vieta al Miur di ripristinare la vecchia modulistica prendendosi un anno di tempo per rielaborare, in modo più organico e soprattutto realistico, le modalità organizzative più adatte per seguire a tutto tondo i ragazzi che hanno difficoltà, coordinando meglio tutte le presenze che ruotano attorno a loro. Allo stato attuale, infatti, la situazione generale della disabilità nelle scuole è molto diversa dal lontano 1992, anno in cui si varò la famosa legge 104 che definiva il quadro normativo nel quale muoversi. Nelle scuola le certificazioni si sono moltiplicate, non con lo stesso ritmo gli insegnanti di sostegno abilitati che sono quattro gatti rispetto al fabbisogno effettivo.
Nel calderone della disabilità ci sono finite anche le situazioni di difficoltà relazionale e sociale, che certo incidono sull’apprendimento degli alunni, spesso, persino più della disabilità organica, ma che andrebbero affrontate diversamente e in modo più specifico senza prevedere una certificazione. Avere alle spalle una famiglia disfunzionale o socialmente precaria o difficile non è un patologia, anche se può essere facilmente un handicap. Non si può continuare a classificare tutto come disabilità. Quello che non lo è fa affrontato in un altro modo.
Fatto sta che tra i tempi per l’assegnazione degli insegnanti, degli educatori, della neuropsichiatria pubblica e le rendicontazioni richieste, gli insegnanti di sostegno sono impegnati a cercare le figure di riferimento con cui raccordarsi che spesso non vedono nemmeno una volta durante l’anno, tra l’altro svolgendo un’attività più legata ai compiti di un impiegato di segreteria che a un insegnante. Telefona, gira con il modulo per raccogliere le firme e così via. In altre parole serve una revisione seria di tutta la partita “disabilità” e la creazione di un punto di raccordo istituzionale tra i diversi soggetti coinvolti a cui fare riferimento.