Dopo l’emergenza: domande senza risposte

Dopo l’emergenza: domande senza risposte

di Giorgio Civati

E dopo? Come sarà il “dopo” emergenza sanitaria? Anzi, come saremo noi dopo questa inimmaginabile estraniante esperienza? Mentre ancora non si riesce a capire quando e come il mondo ripartirà, forse dal 13 aprile ma magari dal 20, e comunque a scaglioni, con altri limiti e regole e soprattutto con inevitabili paure e diffidenze, molti pensano a cosa succederà nelle settimane e nei mesi futuri. Qualcuno, addirittura, cerca di immaginare gli anni che verranno.

Impossibile ovviamente avere risposte certe. Ci sono questioni sanitarie, economiche e anche sociali, psicologiche, individuali e profonde per ciascuno di noi. Stando sul concreto, sarebbe importante avere già cominciato a dare indicazioni precise sui comportamenti. Il teatrino recente sulle passeggiate con i bimbi – no, sì, forse sì, magari e no anzi assolutamente no – non è stato un bell’esempio.

Altro caso tutto da ridere, se non fosse argomento terribilmente serio, quello dei 600 euro di sostegno mensile da chiedere all’Inps per lavoratori non dipendenti: troppi hanno fatto una corsa al “clic” internettiano per paura che i soldi non bastassero per tutti. Forse è la solita frenesia italica mischiata a una consistente dose di sfiducia nello Stato, ma qualcuno avrebbe dovuto spiegare e rassicurare meglio. E non l’ha fatto.

La situazione generale comunque è unica, inaspettata, gravissima. Nessuno poteva essere preparato. E quindi non è il momento delle accuse. Ci saranno stati sicuramente errori e di questo si potrà ragionare a mente fredda e a tempo debito, ma non ora. Adesso è necessario far andare tutto bene, benino, il meno peggio possibile. Pensando al dopo, appunto.

Sul “Corriere della Sera” l’altro ieri lo scrittore Paolo Giordano si interrogava sull’incertezza della riapertura, sulle procedure che ci verrà richiesto di rispettare; ieri invece il giornalista Beppe Severgnini ragionava su un “dopo” più sociale, su come cambieremo – se cambieremo – tutti noi. Sono domande tutte legittime, dubbi sempre importanti anche se per il momento irrisolvibili: ce lo dirà la quotidianità. Di certo sarebbe bello se gli slanci, la generosità o anche, più semplicemente, l’educazione riemersa in moltissimi di noi di questi tempi rimanesse come regalo, come abitudine di comportamento.

Insieme a parecchia dabbenaggine, a indifferenza verso il pericolo, a stupidità varia, la gente – brutto termine perché troppo vago, che racchiude il meglio ma soprattutto il peggio di un gruppo o di una società – ci pare migliore di prima. Si mette in fila, pazienta senza troppe lamentele, rinuncia a molto ormai da settimane, saluta anche chi prima non degnava di uno sguardo.

Il tutto, magari, con preoccupazione. Ma ciò non toglie che sia un cambiamento profondo. Resterà qualcosa, nel nostro modo di fare? Saremo migliori dopo avere affrontato malattia, paure, morti e angoscia?