È intelligente ma non si applica

di Adria Bartolich

Il processo dell’apprendimento, a scuola, si concentra sulla
sistematizzazione delle informazioni e delle conoscenze. I manuali scolastici
sono un condensato di quanto  è stato
fatto, pensato, agito relativamente a una disciplina. La conoscenza  in generale viene trattata, nel nostro
sistema scolastico,  come se fosse un
processo logico, una concatenazione di inferenze da ricordare, assimilare,
sapere ricostruire e ripetere all’occorrenza. In realtà l’apprendimento, nella
vita, raramente si sviluppa in maniera lineare. 
Come se fosse un sorta di procedura burocratica. Molto più
frequentemente  si avvale di
informazioni, a volte anche simultanee e contraddittorie , di interferenze. La suddivisione
per discipline dell’organizzazione del tempo a scuola, invece che su periodi o
problemi, accentua queste modalità d’apprendimento e, com’è ovvio, favorisce i
ragazzi più diligenti e sistematici. Ogni tanto nelle classi, però, troviamo
degli strani elementi, quelli che quando c’è il colloquio con i genitori
vengono sommariamente descritti come coloro che 
“sono intelligenti ma non si applicano”. Raramente si ragiona sul perché
costoro non si applichino, cioè  non si
va oltre alla stigmatizzazione morale del loro comportamento.  Tendiamo ad etichettarli, sono iperattivi, distratti,
caotici, hanno tempi d’attenzione limitati. 
Spesso lo sono davvero, perchè 
usualmente una lezione 
tradizionale  fornisce degli
stimoli limitati e unidirezionali.  Ci
sono però alunni che utilizzano forme di apprendimento opposte, che tendono non
alla linearità ma all’interconnessione, che non sono distratti o poco
concentrati bensì  sono in grado  di concentrarsi su più cose simultaneamente e
percepire contemporaneamente più informazioni, 
non si rilassano mai e la cui mente è sempre accesa.  Si chiama iperefficienza mentale e crea
sofferenza, perchè chi la possiede si sente diverso dagli altri, vede cose cha
altri non vedono, ha una sensibilità più acuta, spesso sono più idealisti e
sensibili di coloro che hanno attorno. Passano per superficiali mentre sono
semplicemente  polivalenti. Piluccano
notizie ed elementi di qua e di là e sono in grado di interconnetterli  velocemente 
ma questo li fa apparire distratti.  
La scuola deve mettersi  nella
posizione di valorizzare anche queste particolarità sburocratizzando il suo
funzionamento, ridimensionando il ricorso alle diagnosi, dando strumenti agli
insegnanti innanzitutto per riconoscere 
le particolarità dei ragazzi  per
poi poterle valorizzare. Tutto ciò è possibile solo con una scuola flessibile e
che goda di larghi spazi di autonomia nella quale il centro  della qualità 
sia  costituito dall’aggiornamento
permanente  del suo personale.