di Marco Guggiari
Un inverno come questo, finora mite e asciutto, non poteva
che riacutizzare i problemi legati all’aria che respiriamo. È il dato dolente,
insieme con altri parametri, che emerge dalla rielaborazione fatta dalla Camera
di Commercio di Como sul Rapporto di Legambiente relativo all’Ecosistema Urbano
2018. Lo studio dell’associazione ambientalista, per la verità risale allo
scorso mese di ottobre, ma la più recente contestualizzazione a livello locale
merita qualche considerazione. Le graduatorie concernenti sei aree tematiche
(aria, acque, rifiuti, mobilità, ambiente urbano ed energia) ci consegnano un
capoluogo al 62° posto in Italia, verso i due terzi della classifica generale.
Ma il focus più dolente risulta dal confronto con le altre città lombarde:
dietro Como ci sono soltanto Lecco e, più in basso ancora, Monza. L’ambito per
noi più penalizzante è sempre l’aria. Siamo, con 20 capoluoghi italiani, nel
gruppo peggiore: aria “scarsa”. In pratica violiamo almeno due parametri
stabiliti dall’Unione Europea. Senza addentrarci troppo nella selva dei numeri
e delle sigle, notiamo che per la
concentrazione di biossido d’azoto siamo terzultimi a livello nazionale. Dietro
di noi ci sono soltanto Monza e Torino. Potremmo ragionare anche di rifiuti e
raccolta differenziata (siamo messi bene), dei troppi incidenti che funestano
ancora la nostra mobilità, delle poche piste ciclabili e delle troppe auto,
della buona percentuale di verde urbano o dell’eccessivo consumo di suolo,
tutti elementi interessanti che concorrono alla fotografia della nostra città.
Ma fermiamoci all’aria. La conformazione di Como, una conca tra lago e montagne
che non favoriscono il ricambio di ciò che respiriamo, è un’attenuante e nel
contempo una preoccupazione in più. La gabbia a maglie larghe delle misure
preventive e di rimedio in emergenza nella quale siamo inseriti a livello
lombardo e con Emilia Romagna, Piemonte e Veneto, non garantiscono grande
effetto. Anche perché l’incidenza del traffico veicolare, benchè significativa,
non è rilevante come l’inquinamento dovuto alle fabbriche e al riscaldamento
degli edifici. Resta però l’esigenza stringente di un salto di qualità nella
consapevolezza dei guai derivanti a tutti dallo smog e nell’opera di
prevenzione. Viviamo in anni in cui, dopo l’era del grande allarme ambientale
non immune da qualche isterismo, si sottovaluta gravemente e, da qualche parte,
in modo interessato questo pericolo mortale. La “dottrina Trump” di
deregulation sull’ambiente rischia di provocare molti danni e di causare un contagio
nella sottovalutazione culturale. Serve una visione illuminata, in
controtendenza, anche a livello locale.
di Marco Guggiari
Un inverno come questo, finora mite e asciutto, non poteva che riacutizzare i problemi legati all’aria che respiriamo. È il dato dolente, insieme con altri parametri, che emerge dalla rielaborazione fatta dalla Camera di Commercio di Como sul Rapporto di Legambiente relativo all’Ecosistema Urbano 2018. Lo studio dell’associazione ambientalista, per la verità risale allo scorso mese di ottobre, ma la più recente contestualizzazione a livello locale merita qualche considerazione. Le graduatorie concernenti sei aree tematiche (aria, acque, rifiuti, mobilità, ambiente urbano ed energia) ci consegnano un capoluogo al 62° posto in Italia, verso i due terzi della classifica generale. Ma il focus più dolente risulta dal confronto con le altre città lombarde: dietro Como ci sono soltanto Lecco e, più in basso ancora, Monza. L’ambito per noi più penalizzante è sempre l’aria. Siamo, con 20 capoluoghi italiani, nel gruppo peggiore: aria “scarsa”. In pratica violiamo almeno due parametri stabiliti dall’Unione Europea. Senza addentrarci troppo nella selva dei numeri e delle sigle, notiamo che per la concentrazione di biossido d’azoto siamo terzultimi a livello nazionale. Dietro di noi ci sono soltanto Monza e Torino. Potremmo ragionare anche di rifiuti e raccolta differenziata (siamo messi bene), dei troppi incidenti che funestano ancora la nostra mobilità, delle poche piste ciclabili e delle troppe auto, della buona percentuale di verde urbano o dell’eccessivo consumo di suolo, tutti elementi interessanti che concorrono alla fotografia della nostra città. Ma fermiamoci all’aria. La conformazione di Como, una conca tra lago e montagne che non favoriscono il ricambio di ciò che respiriamo, è un’attenuante e nel contempo una preoccupazione in più. La gabbia a maglie larghe delle misure preventive e di rimedio in emergenza nella quale siamo inseriti a livello lombardo e con Emilia Romagna, Piemonte e Veneto, non garantiscono grande effetto. Anche perché l’incidenza del traffico veicolare, benchè significativa, non è rilevante come l’inquinamento dovuto alle fabbriche e al riscaldamento degli edifici. Resta però l’esigenza stringente di un salto di qualità nella consapevolezza dei guai derivanti a tutti dallo smog e nell’opera di prevenzione. Viviamo in anni in cui, dopo l’era del grande allarme ambientale non immune da qualche isterismo, si sottovaluta gravemente e, da qualche parte, in modo interessato questo pericolo mortale. La “dottrina Trump” di deregulation sull’ambiente rischia di provocare molti danni e di causare un contagio nella sottovalutazione culturale. Serve una visione illuminata, in controtendenza, anche a livello locale.
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