Rileggiamo Manzoni, può farci solo bene
di Lorenzo Morandotti
Viviamo un tempo matto, non solo per la crisi climatica
(argomento uscito dalle cronache ma non certo dall’agenda delle emergenze) che
da noi porta di nuovo la primavera a sbocciare con un mese buono di anticipo. È
un tempo matto di paure e isterie collettive che possono degenerare, ma che
regala anche spazi inediti di pausa forzata, causati da
questo invisibile nemico, il Coronavirus. Vi abbiamo a che fare da
settimane in quel territorio, l’Italia, che è stato chiamato da qualcuno
commentando l’elevato numero dei contagi
la «Cina d’Europa». La cultura, che è solo una frazione del sistema
economico messo in ginocchio anche sul Lario, soffre come tutti gli ingranaggi
deboli del sistema per questa situazione: cinema e teatri chiusi, incontri
rimandati o cancellati, iniziative in fase embrionale che si bloccano sperando
in una rapida uscita dal tunnel. E allora l’invito non è solo a svuotare le
librerie (piuttosto degli scaffali di derrate) che mai come ora hanno bisogno
dell’appoggio della comunità, ma anche andare a rileggere i classici che
possono aiutarci a inquadrare meglio il clima che viviamo e a viverlo con
minore ansia. Tra i tanti titoli ci sono La peste di Albert Camus, certo, ma
anche il romanzo L’ombra dello scorpione di Stephen King, che postula la morte
di quasi tutta la popolazione degli Stati Uniti
a causa di un’arma batteriologica fuori controllo. Ma qui sul Lario
abbiamo un modello letterario inarrivabile.
A Como la peste descritta da Alessandro Manzoni nei Promessi sposi ,
epoca in cui tamponi e mascherine non c’erano, falciò circa 5mila dei 12mila
abitanti. Citatissimo ovunque in questi giorni, il romanzo dedica due capitoli,
il 31 e il 32, alla ricostruzione
storica della diffusione del morbo. La caccia all’untore, le autorità che
prendono sottogamba il pericolo, i lazzaretti, l’odio per la scienza: qualcosa
delle memorabili parole di don Lisander risuona nell’Italia odierna infestata
da virologi da bar (anche di quelli virtuali
aperti ahimé anche dopo le 18). A riprova che occorrerebbe anche una
massiccia vaccinazione a base di raziocinio per affrontare seriamente problemi così. Ma Internet non è solo boria e
ignoranza. Il comasco Luigi Clerici ha raccolto ad esempio sul suo sito le
testimonianze sulla epidemia di spagnola che flagellò anche il Lario nel 1918.
E su Facebook si trovano anche pensieri come questo della poetessa lariana di
adozione Donatella Bisutti: «Lavarsi le
mani. Ma non lavarsene le mani. Ciascuno di noi deve chiamarsi responsabile.
Non della diffusione del virus ma di una sua eventuale strumentalizzazione. Che
può avere l’effetto di renderci sempre più paurosamente schiavi, o schiavi
paurosi, di cose che passano sopra la nostra testa o subdolamente dietro le
quinte».