di Lorenzo Morandotti
Siamo alle prese con un virus che si nutre di socialità, che sta in mezzo ai sapiens come il topo nel formaggio. Ma l’atteggiamento di fronte a queste sventure che capitano ai vivi varia molto e non è storia solo di oggi. «C’era anche chi pareva stranamente indifferente al proprio destino, o perlomeno aveva la mente tanto ottenebrata dalla sciagura che passava le giornate in uno stato di stordimento, concentrandosi solamente sulle attività primarie e apparentemente inconsapevole del disordine circostante. Altri ancora rifuggivano le cose terrene e si dedicavano soltanto alle attività spirituali, vivendo nell’ascesi più assoluta. Alcuni di loro si isolavano completamente da ogni contatto sociale».
Sembra cronaca attuale ma siamo nel Suffolk del XIV secolo in una piccola realtà rurale, Walsham, dove la peste è arrivata dopo aver devastato per due anni il resto d’Europa. Circa metà della popolazione sarà portata via dal morbo diffuso dalle pulci dei topi, mentre allora la colpa era attribuita a qualcosa di soprannaturale, a peccati e mancanze meritevoli di punizione (e a tal proposito il signore del luogo aveva un rimedio ritenuto infallibile: annusare spesso miasmi di latrina per tenere alla larga la pestilenza). E intanto più nessuno mieteva i campi, accudiva e curava il bestiame. Intere proprietà andavano redistribuite fra gli eredi.
Da allora nulla sarebbe stato più come prima: il vecchio sistema feudale iniziava a subire colpi fatali, e intanto maturava quella coscienza delle masse subalterne che avrebbe poi portato ad altre conseguenze rivoluzionarie nei secoli seguenti. Cambiamenti epocali, allora causati da una pulce e ora da un microscopico nemico, come quelli che viviamo ora, anche se non ce ne rendiamo conto pienamente forse perché l’ansia e l’assuefazione fanno perdere il senso del tempo e delle cose. Il passo citato viene da La morte nera, libro che ha la potenza narrativa del romanzo ma fa parlare fonti storiche.
Lo ha pubblicato nel 2008 in Italia Bruno Mondadori e si deve a uno storico dell’università di Cambridge, John Hatcher. Una lettura istruttiva in questi tempi, oltre a classici letterari come La peste di Camus e i nostri Promessi sposi che il primo lockdown ci aveva costretti a considerare in una luce di attualità e avevamo evidentemente riposto negli scaffali troppo in fretta.
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