Candidato sindaco? No, grazie

di Marco Guggiari

Il fuggi fuggi generale che caratterizza la risposta alla ricerca di candidati sindaco nelle coalizioni di centrodestra e di centrosinistra per la guida del Comune di Como segnala un evidente problema. In un passato, anche recente, numerosi potenziali competitor erano facilmente individuati dai partiti, alle prese anzi con il problema inverso, quello della valutazione e della scelta di una sola personalità tra quelle che si facevano avanti. Prova ne sia la modalità delle cosiddette primarie a cui si affidava il centrosinistra e alla quale, almeno in un caso, ha fatto ricorso anche il centrodestra.

Oggi invece, a sei mesi ormai dalle elezioni per il capoluogo, non passa settimana, talvolta non passa giorno, senza che gli schieramenti principali non incassino un garbato “no, grazie” da parte di questo o di quel potenziale candidato a cui hanno fatto la corte. La fotografia attuale ai nastri di partenza conferma questo stato delle cose: in campo, per succedere a Mario Landriscina, ci sarà certamente Alessandro Rapinese, espressione della sua stessa lista civica. Oltre a lui, per ora, invece non ci sono altri sicuri contendenti. Stefano Molinari, schierato da Fdi e suo segretario provinciale, ha lasciato intendere di essere pronto a ritirarsi in caso di accordo su un altro nome da parte dell’intero centrodestra. Il primo cittadino uscente Mario Landriscina, dal canto suo, pur tentato di correre per un secondo mandato, non ha ancora ufficialmente deciso se farlo, appoggiato dalla propria lista civica ed eventualmente dalla sola Lega. Torniamo dunque al punto di partenza.

Perché, dopo la grande stagione dei sindaci vissuta in Italia per oltre un quarto di secolo dall’avvento dell’elezione diretta, questo filone sembra in via di esaurimento? I motivi di questa nuova stagione, che è invece tutta all’insegna del diniego, sono più d’uno e Como ne ha anche di propri specifici. La politica è molto debole, non prepara più amministratori pubblici come avveniva in passato, avviandoli a percorsi di progressione, veri cursus honorum dal basso. Gli enti locali, poi, dispongono di sempre minori risorse per dare seguito a progetti che possano diventare opere compiute. La stessa filiera con gli enti superiori, Regione e governo, utile e in qualche caso indispensabile per riuscire a “fare cose che si vedono”, è labile e spesso si interrompe nel momento decisivo. La burocrazia rallenta tutto in maniera molto pesante. I ricorsi a organi amministrativi preposti a compiti di controllo sono frequenti e determinano il più delle volte stop temporanei, anche prolungati, ai lavori. Aggiungiamo i rischi legali del mestiere. Tutto questo non incoraggia le disponibilità.

Como poi si presenta in questo scorcio finale del quinquennio amministrativo come una città con gli stessi problemi di sempre irrisolti, una realtà che per la sua conclamata difficoltà a portare a casa risultati evidenti e che abbiano un’incidenza positiva nella vita dei comaschi, allontana le tentazioni di molti potenziali candidati al ruolo di sindaco. In tanti preferiscono rimanere in carica nei ruoli pubblici che già ricoprono, o continuare a svolgere le loro attività professionali.

I partiti e le coalizioni maggiori adesso hanno fretta e rischiano di dover abbassare le loro ambizioni, di doversi accontentare nelle scelte che gli spettano, man mano che incassano no definitivi. Per questa serie di ragioni, unita all’estrema speranza dei comaschi di poter vivere in futuro in una città migliore, il voto della primavera 2022 si annuncia particolarmente complesso e carico di incognite.

In ogni caso ci riguarda e mi piace sottolinearlo a chiusura di questo scritto, l’ultimo sul “Corriere di Como”, insieme con un grazie ai lettori per la loro attenzione e al direttore Mario Rapisarda per l’ospitalità.

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