di Adria Bartolich
Con l’acronimo di Bes (Bisogni Educativi Speciali) si intendono le esigenze educative particolari che gli alunni possono manifestare anche solo per periodi limitati e per i quali è necessaria una risposta educativa e didattica specifica. Nei Bes sono compresi tre grandi gruppi di problematicità: la disabilità, i Dsa (Disturbi Specifici dell’Apprendimento ), gli Adhd (Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività e borderline cognitivi) e infine lo svantaggio culturale, socioeconomico e linguistico. Negli ultimi anni le certificazioni per il Dsa e i Bes sono cresciute in maniera esponenziale.
Negli ultimi sei anni le diagnosi che certificano la presenza di queste difficoltà negli alunni sono, per i Bes, quadruplicate. Inoltre il segmento d’istruzione nel quale raggiungono la maggiore concentrazione è la scuola media inferiore, che si conferma il pezzo più critico del sistema scolastico, vuoi per l’età dei ragazzi, vuoi per l’impianto didattico pressoché privo di un’identità propria.
Le certificazioni, per l’ammissione delle quali bisogna seguire un iter piuttosto tortuoso, devono essere redatte da specialisti delle strutture sanitarie pubbliche, e consentono di avere l’accesso a condizioni particolari: dagli strumenti didattici alle verifiche modulate sulla difficoltà dell’alunno e al personale di supporto, cioè il famoso e sempre più introvabile insegnante di sostegno. È evidente che, se la certificazione consente di avere più strumenti per affrontare il problema, il ricorso alla certificazione diventa un percorso pressoché obbligato. La certificazione, però, si trova all’incrocio di due criticità: da una parte il rischio della patologizzazione, della condizione di difficoltà; dall’altra con uno schema didattico evidentemente irrigidito che al suo interno sembra non avere strumenti per accogliere modi di apprendere diversificati e decidere autonomamente, senza l’intervento dello specialista (clinico, non didattico) su come intervenire in modo mirato. Spesso la richiesta della certificazione non proviene tanto dalle famiglie, che anzi qualche volta sono anche resistenti, ma direttamente dalla scuola, quando cioè gli insegnanti si rendono conto di non riuscire ad affrontare il problema.
Sotto questo profilo, l’accentuazione dell’autonomia anche economica degli istituti, che negli ultimi dieci anni è stata pesantemente erosa da continui tagli alle risorse (unica inversione di tendenza la L.107 sulla buona scuola) potrebbe costituire un buon inizio e grande vantaggio.
di Adria Bartolich
Con l’acronimo di Bes (Bisogni Educativi Speciali) si intendono le esigenze educative particolari che gli alunni possono manifestare anche solo per periodi limitati e per i quali è necessaria una risposta educativa e didattica specifica. Nei Bes sono compresi tre grandi gruppi di problematicità: la disabilità, i Dsa (Disturbi Specifici dell’Apprendimento ), gli Adhd (Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività e borderline cognitivi) e infine lo svantaggio culturale, socioeconomico e linguistico. Negli ultimi anni le certificazioni per il Dsa e i Bes sono cresciute in maniera esponenziale.
Negli ultimi sei anni le diagnosi che certificano la presenza di queste difficoltà negli alunni sono, per i Bes, quadruplicate. Inoltre il segmento d’istruzione nel quale raggiungono la maggiore concentrazione è la scuola media inferiore, che si conferma il pezzo più critico del sistema scolastico, vuoi per l’età dei ragazzi, vuoi per l’impianto didattico pressoché privo di un’identità propria.
Le certificazioni, per l’ammissione delle quali bisogna seguire un iter piuttosto tortuoso, devono essere redatte da specialisti delle strutture sanitarie pubbliche, e consentono di avere l’accesso a condizioni particolari: dagli strumenti didattici alle verifiche modulate sulla difficoltà dell’alunno e al personale di supporto, cioè il famoso e sempre più introvabile insegnante di sostegno. È evidente che, se la certificazione consente di avere più strumenti per affrontare il problema, il ricorso alla certificazione diventa un percorso pressoché obbligato. La certificazione, però, si trova all’incrocio di due criticità: da una parte il rischio della patologizzazione, della condizione di difficoltà; dall’altra con uno schema didattico evidentemente irrigidito che al suo interno sembra non avere strumenti per accogliere modi di apprendere diversificati e decidere autonomamente, senza l’intervento dello specialista (clinico, non didattico) su come intervenire in modo mirato. Spesso la richiesta della certificazione non proviene tanto dalle famiglie, che anzi qualche volta sono anche resistenti, ma direttamente dalla scuola, quando cioè gli insegnanti si rendono conto di non riuscire ad affrontare il problema.
Sotto questo profilo, l’accentuazione dell’autonomia anche economica degli istituti, che negli ultimi dieci anni è stata pesantemente erosa da continui tagli alle risorse (unica inversione di tendenza la L.107 sulla buona scuola) potrebbe costituire un buon inizio e grande vantaggio.
Puoi condividere questo articolo!
Grande finanza e seta comasca
Ico Parisi profeta della modernità
Articoli correlati
Le frustrazioni dei dirigenti scolastici
Tempi violenti figli di Narciso
Politici in tuffo nella piscina vuota