Riapertura provvisoria – Via libera, di fatto, al progetto presentato dal calciatore comasco Gianluca Zambrotta«Le condizioni imposte dal bando comunale non sono a nostro avviso percorribili»Passo indietro del gruppo di privati, capeggiato dagli “Amici di Como”, che aveva presentato un progetto per l’apertura provvisoria del lungolago. «Non presenteremo alcun progetto – dice Silvio Santambrogio, portavoce del gruppo – Le condizioni imposte dal bando comunale dopo l’interessamento di Zambrotta non sono, a nostro avviso, percorribili». Via libera dunque, salvo colpi di scena, al giocatore del Milan, che si era fatto avanti con un piano di riqualificazione alternativo.Leggi l’articolodiBarabesiinPRIMO PIANO
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«Piazza Cavour, uno degli spazi più brutti della città»
Il dibattito sul capoluogo – Roberto Cassani: «Da rivedere soprattutto l’illuminazione e il verde»Esordio a piedi uniti del nuovo presidente degli albergatori larianiIl nuovo presidente degli albergatori lariani, Roberto Cassani, ha riacceso con una fiammata l’eterno dibattito su piazza Cavour (nella foto): salotto buono o area infelice del capoluogo? Lui non ha dubbi: «Oggi è uno degli spazi più brutti della città».Leggi l’articolodiCasoinPRIMO PIANO
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«Pensavamo di andare a vivere lassù»
Un’esistenza con le stelle: parla l’astrofisico comasco Corrado Lamberti«La prima missione dell’uomo nello spazio corrispondeva a un preciso stato d’animo di noi ragazzi di allora. Era qualcosa che ci faceva pensare: “Si parte. Noi andremo a vivere lì”. Immaginavamo con esaltazione il 2000 e dicevamo: “Per quell’epoca saremo già nello spazio”. Poi, in realtà, ci siamo fermati». Corrado Lamberti, comasco di Lenno, astrofisico e divulgatore scientifico, risponde così all’inevitabile domanda sul volo orbitale del cosmonauta sovietico Yuri Gagarin, compiuto
il 12 aprile di cinquant’anni fa. Non a caso Lamberti ha scelto proprio la data odierna per portare in libreria la sua ultima fatica: “Capire l’Universo”, volume edito da Springer con prefazione di Margherita Hack.Anticipi qualcosa del libro.«Ha intento divulgativo. La cosmologia ha concetti complicatissimi. Per esempio: cos’è il vuoto? Le risposte sono anti-intuitive. Nel libro racconto questi concetti anche con piccole equazioni che aiutano a capire. Il volume è anche un testo di cosmologia che include tutte le scoperte fatte fino a un mese fa».Cielo e spazio sono la vita di Corrado Lamberti, classe 1947, sposato e padre di due figli, per 23 anni direttore della rivista “L’Astronomia” e dal 2002 alla guida del nuovo periodico “Le Stelle”. Di questo e di altro parliamo seduti nello studio della sua casa di Lenno, a due passi dalle meraviglie del Golfo di Venere.Com’è nata la sua passione?«Ho due ricordi in proposito. Il primo è un telescopio ricevuto in regalo a Natale quando ero un ragazzino. Era poco più di un cannocchiale, ma riuscivo a vedere i satelliti di Giove, che mi incantarono. Poi uno zio mi regalò questo libro (prontamente lo mostra, ndr): “La Fisica delle stelle” dell’astronomo Leonida Rosino. Avevo 15 o 16 anni. L’autore amava la bella scrittura. Io ne rimasi affascinato».Dopo il primo impatto con il mondo delle stelle cosa avvenne in lei?«La vera passione sbocciò al liceo scientifico. Mi piaceva molto la Fisica, tanto da ottenere buoni voti. Fu naturale iscrivermi a quella stessa facoltà all’Università Statale di Milano. Lì ebbi la fortuna di laurearmi nel gruppo di astrofisica del grande docente Beppo Occhialini, un luminare a cui hanno sottratto due Nobel che gli spettavano per scoperte fatte da lui».A questo punto dell’intervista Lamberti fa un excursus divertente sugli anni caldi dell’università. «Facevo parte del Movimento – ricorda – e, ottenuta la tesi, capitò una lunga occupazione, durata ben tre mesi. Il professor Occhialini mi mise sull’avviso: “Lei rischia di non arrivare in tempo a discutere la tesi”. Risposi rassegnato che me ne rendevo conto, ma che per coerenza non potevo agire diversamente. Un giorno chiese di poter entrare nel suo studio in università per recuperare alcuni libri. Gli aprii io e lui, una volta dentro, mi disse: “Bene, adesso non mi muovo più di qui, perché con la vostra occupazione voi impedite anche la ricerca”. Sua moglie, Constant “Connie” Dilworth, gli portava ogni giorno da mangiare. Lui, a una certa ora del pomeriggio, mi invitava a bere il tè. Era il periodo della “Guerra dei Sei Giorni” e Occhialini, riferendosi alla nostra situazione, osservava: “Mi sembra di essere un ufficiale egiziano nelle mani di un ufficiale israeliano, o viceversa…”».Poi, a occupazione finita, fu proprio il docente a lanciare un’ancora di salvezza a Lamberti.«“Vede – mi apostrofò – non c’è più tempo per la sua tesi, ormai è fine luglio”. Io convenni che era così. Lui aggiunse che tuttavia c’era forse una possibilità: che io lavorassi alla tesi per tutto il mese d’agosto in università. L’ateneo era chiuso, ma Occhialini mi fornì le chiavi. Arrivavo in sede alle 6 del mattino e ne uscivo alle 7 di sera. Così, a settembre, mi laureai».Mi dica della rivista “L’Astronomia”.«Dopo aver insegnato per alcuni anni a Como, al Setificio e alla Magistri Cumacini, ebbi questa occasione. La signora Zelda Mantle, sudafricana, diede vita a questa impresa editoriale. Sono stati gli anni più belli della mia vita. La nostra era la rivista divulgativa più importante d’Europa. Quelle inglesi, francesi e tedesche vennero in seguito».Come fu il suo incontro con Margherita Hack?«Incontrai lei e il marito, Aldo De Rosa. Loro sono stelle doppie, vivono in simbiosi: la grande scienziata e il grande filosofo. Andai a Trieste timoroso, con un “timone” della nascente rivista. Mi diedero due articoli da leggere, uno di un fisico sovietico, uno dello stesso De Rosa e di Margherita, che avevano rinunciato a far pubblicare perché a loro stessi non garbava, come mi rivelarono in seguito. Mi chiesero se li avrei pubblicati sulla rivista. Risposi che l’avrei fatto soltanto con il primo. De Rosa mi abbracciò e disse: “Allora la rivista si fa. Quando c’è sincerità, c’è tutto”. Evidentemente, la mia “bocciatura” garantiva identità di vedute e che ero indipendente nel giudizio, come loro desideravano che fossi».L’occasione dell’incontro con Lamberti è il 50° dell’impresa di Gagarin, al quale torniamo. Il cosmonauta sovietico salì a bordo della navicella “Vostok 1” e stette in orbita per 108 minuti intorno alla Terra, raggiungendo la quota di 328 chilometri d’altezza. Fu un pioniere e questo gli valse una notorietà ancora maggiore della fama poi conquistata dall’equipaggio americano dell’Apollo 11 che nel luglio 1969 portò Neil Armstrong e Buzz Aldrin sul suolo lunare.Gagarin, per la vostra generazione, fu una grande emozione.«Lo era stato ancora di più lo Sputnik, primo satellite artificiale in orbita intorno alla Terra, nel 1957. Avvertivamo il passaggio dal Medioevo alla modernità. Ci sentivamo sparati nel futuro da quel “bip-bip” che giungeva dallo spazio. Eravamo bambini, ma respiravamo aria di rinnovamento, a tutti i livelli. Guardi questo vecchio almanacco di Topolino. È del 1961 e ci sono ben due storie dedicate allo spazio…».
Marco Guggiari
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Locate Varesino, scudetto per il 21° anno consecutivo
Twirling – Lo sport delle majorettesIl team comasco ha vinto la gara tricolore a squadre di Lignano SabbiadoroNuovo exploit nel twirling, lo sport delle majorettes per il Team Locate Varesino. Una serie di medaglie e di soddisfazioni sono infatti arrivate, per il sodalizio comasco, ai campionati italiani di twirling e majorettes.La squadra lariana negli scorsi giorni era in Friuli, a Lignano Sabbiadoro, per le prove tricolori. Il primo successo è arrivato con la formazione Senior, che si è imposta nelle discipline “twirling” e “dance”.Il merito di questa affermazione va ad Anna Caimi
, Valentina Ballan, Barbara Mele, Martina Dal Corso, Giulia Mara, Lorena Di Florio e Martina Gallo.«Nonostante l’inserimento di alcune nuove atlete – sottolinea la dirigente e segretaria Patrizia Premazzi – il nostro responsabile tecnico Elisa Mazzucchelli è riuscito quindi a mantenere un ottimo “gioco di squadra”».Note liete anche dal duo composto da Giulia Mara e Martina Del Corso, che pure si è aggiudicato il titolo di campione d’Italia e si è assicurato la possibilità di partecipare alle selezioni per i prossimi campionati mondiali. L’appuntamento, in questo caso, è fissato per il 2012 a Neuchatel (in Svizzera).Ma non è tutto. Nella categoria “majorettes” il gruppo twirling Locate Varesino ha vinto la gara “sfilata libera” marciando nel palazzetto del villaggio turistico di Lignano Sabbiadoro sulle note del brano “Mamma mia” degli Abba.Ma che cos’è il twirling? Si tratta dello sport delle cosiddette majorettes, una disciplina che per alcuni aspetti è simile alla ginnastica ritmica e artistica. È previsto l’utilizzo di un “bastone”, che va fatto ruotare in coordinazione con il corpo. C’è inoltre la presenza di una base musicale, su cui l’atleta deve esprimere le sue ritmicità ed espressività, integrando difficoltà tecniche di vario livello. Gli esercizi proposti vengono poi valutati da una giuria, che stabilisce le classifiche finali.«Il twirling può essere praticato indistintamente da maschi o da femmine – recita il sito Internet della Federazione – L’atleta che vuole avvicinarsi al mondo del twirling deve riuscire ad unire fra loro diverse capacità: preparazione tecnica (indispensabile per eseguire correttamente tutti i movimenti col bastone), doti ritmiche e artistiche, unite a una buona preparazione fisica».La formazione di Locate Varesino (il cui presidente è Luciano Villa) è da decenni ai vertici di questa specialità e anche nelle recenti gare tricolori.Basti pensare che il team vince ininterrottamente lo scudetto tricolore dal 1990. E nel 2006 la formazione di Locate, trasferita in blocco ai Mondiali, ha avuto il merito di salire sul terzo gradino del podio iridato.
Massimo Moscardi
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«Indignato e sconvolto dalle parole di Azouz»
La strage di Erba – È polemica dopo l’intervista rilasciata a “Quarto grado” dal marito di Raffaella CastagnaLa rabbia di Mario Frigerio, l’unico sopravvissuto al massacro«Ma come è possibile che Azouz Marzouk parli di dubbi sui colpevoli della strage?», ripete all’infinito Mario Frigerio, l’unico sopravvissuto al massacro di Erba, che si dice «indignato e sconvolto» per l’intervista rilasciata dal suo ex vicino di casa. Come noto, ai microfoni della trasmissione di Rete4 “Quarto grado”, il tunisino ha dichiarato di non essere più sicuro della colpevolezza di Olindo Romano e Rosa Bazzi, i coniugi condannati in primo e secondo grado all’ergastolo.Leggi l’articolodiCampanielloinPRIMO PIANO
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«L’è Lura de Netà»: Legambiente e Gruppo Ratti insieme per ripulire il Parco
Il gruppo tessile Ratti, in collaborazione con Legambiente Lombardia, ha deciso di dedicare una giornata alla cura del verde nel Parco del Lura. Seguendo lo slogan «L’è Lura de Netà», che creativamente gioca con il nome del parco, e armati di rastrelli e pennelli, domani mattina un centinaio di volontari assieme alle proprie famiglie e con i bambini al seguito, scenderà in campo impegnandosi, oltre che nella raccolta dei rifiuti, nella pulizia degli argini e nella manutenzione forestale.
Durante la giornata sarà anche realizzato un grande murales a tema ambientale.
«Per noi è fondamentale essere profondamente rispettosi del patrimonio ambientale, garantendo oltre un’elevata attenzione verso il rispetto per l’ambiente che ci circonda», ha commentato Sergio Tamborini amministratore delegato del Gruppo Ratti.
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«È impossibile risparmiare tredici milioni sul tunnel di Pusiano»
La polemica«Puntare sul ribasso d’asta per un’opera complessa come la variante di Pusiano è davvero assurdo. Rischieremmo di avere anche problemi di sicurezza». Anche gli ambientalisti all’attacco sul faraonico tunnel delle polemicheLeggi l’articolodiCampanielloinPRIMO PIANO
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«Calo verticale. Non c’è più senso di Dio». Tutti i motivi di crisi della Confessione
Parla un sacerdote: «Mancano i giovani, in special modo le ragazze»Fermo e perentorio: «Questo è quanto ritenevo di dirle. Ma il mio nome sul giornale, proprio no». Il colloquio è finito. L’anziano sacerdote che ha accettato l’incontro si alza e torna alla sua occupazione principale, che è quella del confessore. «Buon lavoro», si limita ad aggiungere mentre si allontana a passi rapidi.Tutto era iniziato due giorni prima con una telefonata del cronista a uno dei tanti preti che quotidianamente ascoltano le colpe di decine di penitenti nel Duomo di
Como.La Settimana Santa è l’occasione per fare il punto su quello che per i cristiani è il Sacramento della Penitenza e su com’è cambiato nel tempo.L’interlocutore all’altro capo del filo inizialmente sembra sorpreso, come si intuisce dalla pausa che precede la risposta. «Va bene – concede poi – Vediamoci in cattedrale». E così avviene. In coda tra i fedeli che si accostano al confessionale, dopo circa mezzora di attesa viene il momento della chiacchierata riferita qui di seguito.Qual è il grado odierno di partecipazione alla Confessione? Il suo è un osservatorio importante.«Assistiamo a un calo verticale. E questa situazione peggiora da almeno un decennio. Le persone si confessano e poi aspettano 5 o 6 mesi, in molti casi anche un anno, prima di tornare. Questo comporta una minore continuità anche nell’Eucarestia. Mancano soprattutto i giovani, in special modo le ragazze. Nel loro caso si può parlare di vero e proprio disastro».Com’è cambiato l’atteggiamento del penitente? Sono frequenti i casi in cui vengono privilegiati colloqui su problemi personali, anziché l’accusa dei propri peccati?«Fosse vero… I più vengono qui per togliere la polvere dalla propria vita, o i sassi, se ci sono. Ignorano che la Confessione non è un Sacramento soltanto per la “pulizia” personale, ma per un vero accompagnamento alla vita cristiana. Se c’è questo, c’è anche la verifica; c’è una giusta frequenza».Com’è cambiato il senso di colpa? È vero che c’è maggiore sensibilità ai peccati cosiddetti “sociali” e si dà minore importanza a quelli della sfera privata?«La verità è che non c’è più peccato. Non c’è più il senso di Dio. In molti si afferma la pretesa di questo automatismo: “Io chiedo perdono, quindi sono a posto”. Tutti i giorni i miei confratelli e io ci imbattiamo in questo atteggiamento di fondo. Ci sono ragazze che frequentano le scuole superiori, confessano di fare sesso e subito aggiungono: “Ma ci vogliamo bene”… La Confessione, oggi, viene abbandonata subito dopo la Cresima, che non dovrebbe essere il Sacramento del “ciao-ciao”, come diciamo amaramente noi preti. Tanti ritornano solo quando è il momento di sposarsi».Dunque lei non riscontra questa dimensione più “sociale” del peccato?«Alcuni si rendono conto che non aiutare il prossimo è una mancanza. Gli stessi però non avvertono come una colpa perdere la messa nei giorni comandati, o fare sesso quando e come vogliono. A ben vedere, anche per quanto riguarda l’aspetto sociale ci sono eccezioni: pochi considerano peccato evadere le tasse. D’altronde, hanno davanti tanti esempi negativi…».Qual è il peccato più difficile da confessare?«Certamente l’aborto. E anche il tradimento del coniuge, tanto più quando ci sono di mezzo i figli e le cose si complicano».Quando il confessore valuta che non ricorrono le condizioni per assolvere il penitente?«Quando mancano il sincero pentimento e il desiderio di migliorare. È una decisione che non dipende dalla gravità in sé di un peccato, ma dall’assenza della volontà di cambiare».Qual è la difficoltà maggiore che incontra il confessore?«La mancanza di preparazione al Sacramento di chi viene qui. Molti arrivano e vogliono subito confessarsi senza nemmeno darsi il tempo di un esame di coscienza. Se li si invita a prepararsi, capita che se ne vadano. A me è successo anche oggi».Il quadro che lei dipinge lascia poco spazio alla speranza…«La speranza rinasce se il penitente inizia a capire e dopo 20 giorni è qui di nuovo. È essenziale avere il riferimento fisso di un prete, il cosiddetto “direttore spirituale”. La figura ideale è il parroco. Ma si comincia da piccoli. I bambini dicono: “Vado dal mio don”».
Marco Guggiari
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Laboratorio digitale con vista su StreetScape
Michele Viganò: arte e moda binomio fondamentale per Como
Arte di strada, una festa diffusa nelle piazze e nei cortili della città di Como. È lo spirito della collettiva itinerante “StreetScape”, fatta di figure simboliche, oggetti ludici che cambiano dimensione, forme naturali. Tutti diversi fra loro, ma tutti chiamati a dialogare con l’ambiente che li circonda.Como laboratorio in movimento, con la creatività visuale che ridisegna il territorio urbano e interroga chi lo abita e lo frequenta sul senso stesso dell’opera d’arte.Tutto questo con il lockdown non è possibile ed ecco che il promotore Michele Viganò (che da otto anni lavora a questo format con i critici Ivan Quaroni e Chiara Canali) sta già progettando l’edizione 2021, in ottobre, sperando che ci siano le condizioni sanitarie per portare il pubblico all’arte e l’arte al pubblico. Una iniziativa forte di una tradizione di lunga data, che risale alla kermesse d’arte “Campo Urbano” del lontano 1969 e ha visto nelle provocatorie e utopistiche sculture pubbliche di un genio come Ico Parisi momenti entrati nella storia.Con questo progetto l’arte contemporanea esce nuovamente dai circoli esoterici del collezionismo e delle gallerie nonché dai musei e si fa proposta per tutti, che si mette in gioco e dialoga con il proprio pubblico nelle piazze e nei cortili della città.Purtroppo in tutto il mondo a causa di questa pandemia il sistema dell’arte sta attraversando una profonda crisi. Occorre reinventare e riorganizzare la cultura e le sue forze. «Non è stato indolore stoppare StreetScape – dice Viganò – era l’unica fiera d’arte fattibile sul suolo pubblico all’aperto durante la pandemia, ma non è il momento, né come clima generale né come disponibilità di sponsor. E farne una versione virtuale non avrebbe senso. È una forma d’arte fisica e partecipata. Invece artisti e critici hanno dialogato molto online, così come nel primo lockdown e continuano a farlo con buon profitto. Un patrimonio di conoscenza condivisa che è esperienza preziosa per il futuro».Lo stesso spirito anima anche la gestione dell’emergenza nell’azienda tessile di Viganò, che sta ristrutturando il proprio sito Argenti.it con la collaborazione del team di videoartisti comaschi Olo. «Sarà spettacolare e fiabesco – anticipa Viganò – E anche qui il binomio arte e moda rimane e rimarrà fondamentale, per noi come per tutto il territorio lariano. Ora l’emergenza ci porta a investire molto oltre che nella sicurezza anche nel digitale: per noi che lavoriamo per l’80% con l’estero significa condividere archivi e collezioni con i clienti grazie alle moderne tecnologie. E anche i clienti si devono adeguare. Un patrimonio di esperienza che nel mio ottimismo credo ci sarà utile quando il peggio sarà passato: avremo aziende più sostenibili dal punto di vista ambientale, più efficienti, e potremo lavorare ancor meglio sulla qualità».
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La seta comasca della Tenda Rossa in attesa di restauri al Museo della Scienza di Milano
Modelli di resistenza in mezzo a un inferno ghiacciato, con speranze di uscirne vivi ridotte quasi a zero. Vicende che sono esempi di coraggio e inviti alla speranza e all’amore per la vita in una situazione di crisi come quella che attraversiamo. La storia ci ha consegnato nel secolo scorso almeno due episodi memorabili, che anche il cinema ha raccontato. Nel 1972, il caso dei sopravvissuti sulle Ande. I componenti della squadra universitaria di rugby di Montevideo, in compagnia di alcuni parenti, a bordo di un bimotore a elica per raggiungere Santiago del Cile, precipitano a oltre 3.000 metri di altitudine. I sopravvissuti per oltre due mesi rimangono nel relitto in una conca innevata con nessun equipaggiamento e con la scarsità di viveri che costringe a cibarsi dei propri compagni morti.Il secondo caso è la sciagura del dirigibile Italia del 1928, la macchina volante più leggera dell’aria, vanto dell’aeronautica italiana pilotata da Umberto Nobile. Il 24 maggio l’aeronave sorvola il Polo Nord. La nave sulla via del ritorno, appesantita dalle incrostazioni di ghiaccio e con un motore in cattive condizioni, si schianta. L’involucro riprende quota, trascinando parte dell’equipaggio e scompare per sempre. L’altra parte, Nobile compreso, resta a terra, trovando riparo sotto una tenda che viene dipinta di rosso. I superstiti lanciano un appello, raccolto da un radioamatore. Le autorità di Mosca, allora, ordinano al rompighiaccio Krassin (ancor oggi museo sulle rive della Neva a San Pietroburgo) di dirigersi verso gli scampati. Intanto, due italiani, con lo scienziato svedese Malmgrem, abbandonano la tenda, cercando di raggiungere a piedi la base di partenza. Contemporaneamente un pilota svedese riesce a raggiungere in volo i superstiti italiani ma riporta alla base solo Nobile. Durante la marcia verso Kigsbay, Malmgrem muore mentre scompare tra i ghiacci l’esploratore Amundsen, che aveva generosamente accettato di partecipare ai soccorsi. Finalmente, quarantotto giorni dopo la sciagura, i superstiti della tenda rossa vengono messi in salvo dal Krassin. Quella tenda fu realizzata con seta comasca, da un’azienda di Lurate Caccivio, la Stucchi. La tenda rossa è stata esposta al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano dove è tuttora conservata con l’intenzione di riesporla in un nuovo progetto allestitivo non appena possibile. Dipenderà dai finanziamenti che il museo reperirà per coprire i costi di un allestimento museale che garantisca da un lato la sicurezza conservativa dell’oggetto, molto delicato, e dall’altra che permetta di raccontare la storia di questa straordinaria avventura in modo storiograficamente aggiornato e anche coinvolgente per tutti i tipi di pubblico.