Categoria: Opinioni & Commenti

  • Como insegna l’arte di illuminare le mostre

    Como insegna l’arte di illuminare le mostre

    di Lorenzo Morandotti

    La città che ha dato i natali al grande fisico Alessandro
    Volta, inventore della pila, diventa un polo di eccellenza per la luministica
    consacrata all’arte. Lo si deve al direttore del corso di alta formazione
    organizzato da “Poli.design”, realtà di riferimento a livello internazionale
    per la formazione post laurea, l’architetto comasco Francesco Murano, tra i più
    autorevoli lighting designer italiani specializzato proprio  nell’illuminazione delle opere d’arte. Le
    mostre, e Como lo sa bene, non si improvvisano. Ma vanno anche illuminate al
    meglio per  consentire al  visitatore una esperienza davvero unica.
    Un’arte quella di illuminare l’arte che a sua volta richiede conoscenze
    tecniche specifiche che si maturano in anni di ricerca sul campo oltre che su
    testi teorici. E Murano ne ha  pubblicato
    uno ormai classico, L’illuminazione delle opere nelle mostre d’arte (Maggioli
    Ebook, Milano 2016) oltre ad aver curato l’illuminazione di oltre cento mostre
    in questi anni, da Monet a Hopper  a
    Brueghel, collaborando con le maggiori agenzie che promuovono rassegna d’arte
    in Italia come Arthemisia, Sole 24 ore, Civita. Nel 2015 ad esempio ha
    progettato e realizzato l’illuminazione della mostra “Escher” – una delle più
    difficili sfide  – a Palazzo Albergati di
    Bologna e quella per la mostra “Il primato del disegno” alla Pinacoteca di
    Brera, nel 2016 quella della mostra su Rubens. Ora come detto Como sale in
    cattedra e vara grazie al professor Murano un al nuovo corso del “Poli.Design”,
    “Lighting for Art”, volto proprio ad 
    analizzare e trasmettere le conoscenze tecniche  per consentire la progettazione di un
    impianto luminoso  dedicato a una mostra. Le lezioni inizieranno a
    novembre presso lo Spazio Natta in via Natta a Como  e il corso si
    articolerà in  diversi moduli, con tre
    docenti fissi e numerosi visiting professor. Si rivolge a tutti i
    professionisti  che vogliono migliorare
    le loro competenze nel settore. Ma è anche un segno tangibile forte di un
    sapere che abbraccia in un solo percorso tecnologia e cultura. Una sintesi alta
    che è anche una preziosa indicazione di percorso per la città.

  • Docenti, il tacito baratto tra prestigio e sicurezza

    Docenti, il tacito baratto tra prestigio e sicurezza

    di Adria Bartolich

    La Varkey Foundation è un istituto internazionale di ricerca  sui sistemi d’istruzione che pubblica periodicamente  studi sul tema prendendo in esame come campione 35 Paesi rappresentativi di tutto il mondo.

    Dall’ultimo rapporto pubblicato è emerso un dato significativo e al contempo sconcertante per il nostro Paese, anche se abbastanza allineato alle diverse rilevazioni che vengono effettuate a proposito dei diversi aspetti dei vari sistemi scolastici: lo status sociale degli insegnanti italiani è il peggiore in Europa  collocandosi al 33° posto sui 35 Paesi esaminati nel mondo.

    Il Global Teacher Status Index  è lo studio più completo sugli insegnanti di tutto il mondo e perciò particolarmente significativo per una comparazione tra i sistemi scolastici degli Stati.

    Dallo studio emerge la convinzione degli italiani che la considerazione   nei confronti degli insegnanti sia molto  diminuita negli ultimi anni: solo il 16% ritiene che gli alunni li rispettino, dato in decremento in confronto all’ultima  rilevazione risalente a quasi sei anni fa, quando il risultato era già basso visto che si era espresso positivamente solo il 20% degli intervistati. Nonostante ciò, oltre il 30% del campione  consiglierebbe al proprio figlio di diventare insegnante.

    Potrebbe sembrare una contraddizione ma non lo è, e certifica l’esatta situazione della scuola italiana dove, storicamente, esiste un tacito accordo, quasi una sorta di baratto, tra basso livello salariale e profilo professionale incerto con scarse gratificazioni sia economiche che di carriera, e la certezza della condizione e della stabilità del posto di lavoro. Una  parziale rinuncia allo status in cambio di sicurezza.

    In sintesi, non avrai un ruolo prestigioso ma in compenso un lavoro per sempre.

    Questa condizione viene confermata nell’incrocio con un altro dato, quello riguardante la percezione del ruolo professionale dei docenti che vede gli italiani considerare l’insegnante come una figura simile a quella dell’assistente sociale.

    È un dato su cui riflettere. La scuola di massa mette  evidentemente a grande rischio la professionalità dei docenti impegnati a svolgere ruoli e funzioni che non sono loro proprie.

    Questo  spinge anche i genitori  a considerare il rapporto con gli insegnanti alla pari di una relazione d’aiuto, asimmetrica per definizione: se non mi aiuti e non aiuti mio figlio non svolgi la tua funzione,  se inoltre chiedi dei  risultati, ti contesto e faccio ricorso.

    Tutto ciò chiude il docente  in una specie  di assedio permanente che snatura l’insegnamento e la sua funzione primaria, che è quella di istruire ed educare.

  • Cure difficili se la pigrizia è più forte della paura

    Cure difficili se la pigrizia è più forte della paura

    di Mario Guidotti

    Tutti abbiamo le nostre paure, razionali, irrazionali,
    vincibili, invincibili. Qualcuna ci segue dall’infanzia, altre ce  le impone la vita, altre ancora ce le creiamo
    dal niente. Ma c’è qualcosa che è ben più potente delle nostre paure, qualcosa
    che prevale largamente sulle stesse, ed in àmbito sanitario si constata
    quotidianamente. La nostra pigrizia, l’accidia, la sciatteria. I medici lo
    rilevano ogni volta che hanno bisogno della partecipazione del malato al
    processo di cura. Adesione attiva intendiamo, non passiva.

    Proviamo a spiegare: quasi tutti i malati, se si spiegano
    bene loro le cose, accettano percorsi diagnostici e terapeutici duri, anche
    durissimi. Interventi chirurgici, chemioterapie, procedure complicate, e ogni
    altra cosa talora neppure immaginabile. Ma se il malato deve partecipare
    attivamente ad un processo di cura è molto più difficile avere la sua
    applicazione. Esempi: esercizi per la memoria, forse uno su dieci li fa. Dieta
    mirata a modificare il peso e la qualità degli alimenti: uno su 5 per un mese,
    poi uno su dieci se va bene. Esercizi fisici costanti: uno su dieci. Nei fatti,
    quanti si iscrivono ad un corso in palestra e quanti lo seguono costantemente?
    Quanti camminano 4-5 chilometri al giorno come da richiesta (minima) del
    medico?

    Smettere di fumare: 1 su 10 ce la fa, e badate bene, tutti
    muoiono dalla paura di cancro, ictus, infarto, ma pochissimi interrompono veramente.
    Non parliamo poi dell’uso ed abuso alcoolico, ci vorrebbe un libro per parlare
    dell’inganno perpetrato a sé ed agli altri, medici compresi.

    Ma per i disturbi della memoria è addirittura una missione
    impossibile. Si chiede agli interessati, che badate bene non sono per forza
    malati ma anziani fragili o anche solo ultracinquantenni ben tenuti che
    iniziano ad incespicare con la memoria, di leggere un quotidiano e di
    riscrivere, o raccontare ad un familiare, da cinque a dieci notizie lette, per
    due-tre volte al giorno, ogni santo giorno. Su cento persone cui è stato
    proposto il programma, e il dato è stato misurato recentemente, quante secondo
    voi lo hanno eseguito? Cinque con costanza, quindici per due-tre giorni. Gli
    altri zero. Ma è possibile? Vi sembra che sia stato chiesto di andare a
    spaccare le pietre in miniera? È stato banalmente supplicato di leggere e
    ripetere il giornale, o le notizie sentite al telegiornale.

    Ci sono medici che affermano senza ombra di dubbio che
    preferiscono gestire malati gravissimi ma totalmente non necessitanti di
    partecipazione piuttosto che chiedere e (non) ottenere auto-aiuto di un malato
    non grave, ma che deve impegnarsi, per esempio a dimagrire, cambiare stile di
    vita, leggere e ripetere, studiare.

    Per cui la conclusione, frustrantissima per la classe
    medica, è che le nostre pigrizie sono più forti delle nostre paure. Ed è un
    vero peccato.

  • Analfabetismi italiani, emergenza europea

    Analfabetismi italiani, emergenza europea

    di Lorenzo Morandotti

    Analfabeti. E non solo in senso propriamente linguistico.
    Non perdono occasione di dimostrarsi tali gli italiani – oltre che nella scarsa
    competenza nell’uso corretto di un dizionario tra i più ricchi – anche
    nell’etica e nella memoria. Una emergenza globale, insomma, che mette a
    repentaglio il presente e soprattutto il futuro di un paese sempre più,
    manzonianamente parlando, vaso di coccio tra i vasi di ferro del continente che
    presto andrà alle urne. Qui da noi abbiamo perso di vista il senso della
    misura, chiudendoci in un ottuso e ottundente egoismo che tocca anche le
    quotidiane abitudini più prosaiche (quanti mettono la freccia per svoltare?).
    Oltre che la capacità di esprimerci in modo corretto e appropriato nelle varie
    situazioni, abbiamo dimenticato quando gli immigrati da trattare a pesci (o
    peggio) in faccia all’estero eravamo noi stessi. Per fortuna gli italiani sono
    anche capaci di stupire, e prendersi la rivincita con la creatività e con la
    voglia di rimboccarsi le maniche. E spesso si dimostrano meno egoisti di quanto
    sembrano in superficie, come sottolinea Ferruccio de Bortoli, già autorevole
    direttore del “Corriere della Sera”, nel suo nuovo libro “Ci salveremo” appena
    edito da Garzanti e che presto verrà presentato a Como, al Teatro Sociale. Che
    siamo analfabeti di ritorno, senza memoria e inclini alla furberia, ma anche cicale
    capaci spesso di vette artistiche notevoli, ce lo hanno ricordato altre penne
    illustri recentemente ospiti del nostro festival LarioBook partito la settimana
    scorsa (nella foto, il critico musicale del “Corriere della Sera” Mario
    Luzzatto Fegiz). In particolare Paolo Di Stefano, inviato delle pagine
    culturali del “Corriere” e scrittore, forte della sua formazione di filologo
    alla scuola pavese di Cesare Segre, ha invitato a parlare solo di cose che si
    conoscono. In un Paese di Soloni dalla tastiera facile che sproloquiano via web
    sullo scibile, per fortuna qualcuno va in direzione contraria.

  • Complotto pluto-giudaico e gerarchia dei saperi

    Complotto pluto-giudaico e gerarchia dei saperi

    di Adria Bartolich

    La faccenda dell’Europa dei burocrati, francamente, incomincia a rasentare la fantascienza.  Quando leggo titoli nei quali si dice che le politiche europee stanno distruggendo la scuola mi chiedo  quali politiche  e di chi, perché va bene procedere per frasi fatte,  ma  sacramentare contro il capitalismo  e il complotto pluto-giudaico e  massonico, mette insieme di tutto un po’ senza spiegare nulla. E l’Europa, oltre ai burocrati, ha anche un parlamento pluralista che discute e decide.

    Inoltre le scuole europee funzionano in modo molto diverso tra loro. In comune c’è solo un sistema  di monitoraggio e osservazione attivato dall’Ocse  (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) che ha il compito di coordinare politiche economiche e di sviluppo, tra le quali la formazione e l’istruzione hanno certamente un ruolo centrale.

    Inutile ripetere che all’innalzamento del livello d’istruzione di un Paese corrisponde anche una crescita del Pil e tra le due cose c’è interdipendenza,  oltre alla banale considerazione che la gente non vive d’aria;  vive di lavoro. È vero che l’istruzione non deve servire  solo a trovare lavoro,  ma anche ad averne uno certamente sì. Così come è auspicabile che sia salvaguardata l’autonomia della scuola  ma non che la scuola sia fuori  dal mondo e operi in  una sorta di sistema isolato. Nè tanto meno convince la discrasia costante nel dibattito pedagogico nazionale, tra  i fautori della cultura umanistica e i tecnocrati, o la divisione del tutto fittizia tra conoscenze e competenze che mette in ordine gerarchico i saperi  e attribuisce alla cultura umanistica una interdisciplinarietà che, chissà perché, non avrebbe quella scientifica.

    Occorre perciò  ricordare che la pedagogia moderna sottolinea come la valutazione debba essere incentrata il più possibile su competenze misurabili, fermo restando che valutiamo persone e non oggetti, quindi con tutte le variabili del caso. E non è tecnocrazia ma obiettività, mentre il contrario ha derive come la discrezionalità, i giudizi sulle idee, se non addirittura la  loro censura.

    Ciò che rende una mente aperta non sono i contenuti ma l’approccio con cui si studiano e si affrontano; possono esistere un approccio umanistico chiuso, e uno scientifico o persino  tecnico aperto (la Bauhaus ad esempio) perché anche la tecnica è un’attività culturale. E viceversa naturalmente.

    Non mi convince l’impostazione per la quale alla scuola e alla cultura tocca occuparsi dell’anima  lasciando ad altri di occuparsi della vita,  perché  occuparsi del pane e del lavoro è occuparsi  dell’anima ma anche della  persona nella sua interezza.

  • Como e il futuro: sognare si deve

    Como e il futuro: sognare si deve

    di Giorgio Civati

    Sognare si può oppure si “deve”? Staccarsi ogni tanto dalla
    quotidianità, mettere da parte almeno per un momento buche per strada, erbacce,
    servizi pubblici inesistenti e soldi che scarseggiano, è solo fuga dalla realtà
    o piuttosto un esercizio per rendere migliore questa nostra realtà? La domanda
    è di quelle epocali, eppure ogni tanto va posta. Lo diciamo noi, che spesso
    focalizziamo l’attenzione sulle piccole cose, sui tanti e fastidiosissimi
    inghippi quotidiani, sulle mancanze minute che però sommate fanno un grande
    disagio, e lo diciamo – sognare è necessario – prendendo spunto da una comasca
    cui questa dote di certo non manca. Arianna Minoretti è infatti una giovane
    donna comasca, laureata in ingegneria, che la vita professionale ha portato nel
    Nord Europa. Il suo è un trasferimento positivo, di successo, visto che in
    Norvegia si occupa di ingegneria e in particolare sta progettando un ponte
    sommerso per collegare meglio e più in fretta fiordi, isole e penisole di
    quella parte del mondo. Il cosiddetto “ponte di Archimede”, struttura sommersa
    ma non appoggiata sul fondo, galleggiante sotto il livello del mare. Un’opera
    fuori dall’ordinario. Un sogno, forse non in Norvegia ma di certo a Como e
    dintorni. Ma Arianna Minoretti è anche l’occasione per sognare un po’ di più:
    richiamata a Como dall’Ordine degli Ingegneri 
    di Como, Minoretti domani mattina sarà la relatrice in un convegno
    dell’associazione professionale, in via don Guanella, e parlerà di mobilità, di
    soluzioni tanto innovative quanto difficili da realizzare, sicuramente anche ci
    calcoli strutturali e costi, ma – ne siamo convinti – tratterà soprattutto di
    sogni. Sogni difficili, ma possibili. Come un tunnel subacqueo per togliere
    traffico dalle strade, che se non è un sogno poco ci manca. Solo che lei, la
    quarantenne ingegnere, ci sta lavorando in concreto. Una visione che sta
    diventando realtà. Vero, tutto ciò accade nel profondo Nord dell’Europa.
    Norvegia, non Como. Eppure l’idea può far bene anche al Lario. Il confronto –
    impietoso, diciamolo – può essere da stimolo. Pur restando in prima fila nel
    chiedere asfalti migliori, aiuole più curate, giochi per i bimbi negli spazi
    pubblici non rotti e via di questo passo, non possiamo essere insensibili al
    fascino del pensare in grande. Un tunnel sotto il lago? Un’arena galleggiante
    per eventi e spettacoli? Nuovi quartieri, magari in quella Ticosa così
    tristemente immobile?  Magari qualcosa o
    forse anche tutto risulterà impossibile, ma almeno proviamo a pensarci. Anzi,
    pensiamo in grande. Proviamo a immaginare un futuro diverso, migliore,
    addirittura azzardato per questa nostra città e per questo territorio. Piste
    ciclabili a sbalzo sul lago, eventi, urbanistica, turismo, industria, cultura e
    storia possono essere banali soluzioni a problemi contingenti oppure occasioni
    per tentare – tentare, almeno – un passo in avanti forte, deciso, di rottura
    con un passato lento se non immobile. Proviamo a sognare. Male che vada, non
    costa nulla.

  • Assunzioni nella scuola, il sistema è inefficiente

    Assunzioni nella scuola, il sistema è inefficiente

    di Adria Bartolich

    Per chi non conosca i complicato meccanismo con cui si effettuano le assunzioni nella scuola italiana, ma anche per chi lo conosce, verificare periodicamente come sia palesemente  inadeguato  a garantire il buon funzionamento del servizio è sempre sconcertante, nonché un incontrovertibile  dato di realtà.

    Un problema  storico che stancamente si trascina nonostante i frequenti cambiamenti nel sistema delle abilitazioni, la legge sulla Buona  Scuola con le sue assunzioni  slegate dal territorio, concorsi a cattedre e abilitanti, graduatorie permanenti (alcune delle quali vuote)  a cui si aggiungono i contratti sulla mobilità del personale.

    Il prossimo anno scolastico, alle croniche carenze di organico  concentrate nelle regioni del Nord – Lombardia, Veneto e Piemonte  – per le cattedre della scuola primaria, Matematica, Inglese, Italiano e soprattutto per la copertura dei  posti di sostegno (qui siamo alla desertificazione), si aggiungeranno le domande di pensionamento  con la famosa quota 100 (62 anni di età con almeno 38 di contributi).

    Secondo un recente computo effettuato dal “Sole 24 Ore”,  tra le domande di pensione, la quota 100 e le carenze di organico accumulate (circa 22.000 cattedre scoperte quasi tutte al Nord)  l’anno prossimo la scuola italiana si troverebbe con  la necessità di coprire oltre 140.000 posti vacanti, cioè quanto  esisteva già nel 2015, anno in cui con la Buona Scuola si varò il gigantesco piano d’assunzioni  di circa 100.000 precari.

    Aggiungiamo a tutto ciò l’età anagrafica media dei docenti italiani (oltre la metà degli insegnanti ha più di 50 anni) che lascia prevedere una costante fuoriuscita per i pensionamenti, e i tempi lunghissimi che hanno i concorsi per essere effettivamente operativi – tra bando e realizzazione almeno sei mesi , ai quali  poi si aggiungono i ricorsi – e vediamo che, prevedibilmente, il problema non sarà affatto risolto per l’avvio del nuovo anno scolastico.

    In altre parole il sistema attuale ha dato prova, nel corso degli anni , di  essere inadeguato a garantire organici stabili e la copertura di tutte le cattedre necessarie.

    Il governo propone  la regionalizzazione del sistema scolastico. Capisco tutte le preoccupazioni del caso, da quella della messa in discussione dell’unicità del sistema al rischio della forte disparità finanziaria tra le regioni. Se la regionalizzazione è considerata un rischio troppo grande, credo però  che sia arrivato il momento di fare delle proposte che puntino  a trovare una soluzione alternativa, altrimenti il rischio è di perseguire la pura conservazione di un sistema inefficiente.

  • Bando cultura pronto in attesa dei soldi

    Bando cultura pronto in attesa dei soldi

    di Lorenzo Morandotti

    La carenza di fondi, in tempi di crisi e con fosche prospettive come quelli attuali, dove ogni giorno porta nuovi ostacoli, è la madre di tutti i problemi. Il bando per il sostegno alla cultura del Comune di Como, tanto annunciato fin dallo scorso anno, era atteso a fine gennaio, poi è slittato e ancora non si sa quando potrà essere presentato pubblicamente. E intanto le associazioni e i vari soggetti che vi potrebbero aderire scalpitano, sono sulle spese, rimandano progetti, tengono ferme le redini, magari cercano di rivolgersi altrove, di portare i cervelli lontano da qui.

    E non sono anime belle, chierici  vaganti che vivono d’amore e di gloria, ma posti di lavoro, e lavoro spesso mal pagato e il più delle volte volontario, legato a un concetto che si chiama passione (per il bello, per la condivisione, per la natura, per la storia) che non pare merce comune vista l’assuefazione al peggio che tende a  diffondersi in questo Paese.

    Il bando comunale non esce perché non si ha ancora la certezza di quanto potrà essere messo a bilancio da parte di Palazzo Cernezzi per questo comparto ritenuto strategico.  In attesa della quadratura del cerchio che ci auguriamo attenda dietro l’angolo e sia imputabile solo a uno dei tanti intoppi della burocrazia, cosa che in Italia è spesso una buona scusa per non indignarsi come meriterebbe la situazione, concediamoci qualche riflessione e qualche paragone. Cose già dette, magari, ma che occorre ribadire.

    Quanto sia  strategico tale  comparto che si chiama cultura alla fine poi non si sa, se mettiamo sulla bilancia altre realtà, ad esempio  la vicina Chiasso che ha un decimo degli abitanti di Como, per carità è situata nella florida Svizzera e non nell’acciaccata Italia ma riesce a programmare con precisione appunto elvetica un calendario di eventi e mostre con caratura e  dimensione che valicano di gran lunga i limiti della frontiera.

    Se prendiamo poi l’Estival Jazz di Lugano, la rassegna gratuita di concerti estivi  che ha pianificato tre anni di sostegno da parte di uno sponsor finanziario da qui al 2021, il paragone è parimenti impietoso. Se sono passati ormai in archivio gli anni d’oro delle mostre di Villa Olmo, lo sono anche quelli dei megaconcerti con ospiti di calibro almeno nazionale (ma non dimentichiamo che a Villa Erba nei bei tempi andati suonarono i Cure, Bob Dylan e Phil Collins). Altri tempi, secondo millennio, condizioni pre-crisi, tutto quello che volete. Invece di magnificare sorti del turismo e in special modo del turismo culturale, sarebbe opportuno una volta per tutte convocare quegli “stati generali” del comparto, per individuare pochi ma concreti obiettivi.

  • Battellate della bellezza, concediamoci un sogno

    Battellate della bellezza, concediamoci un sogno

    di Lorenzo Morandotti

    Il mito del Lario romantico si nutre di memorie e suggestioni antiche e varie ma se è giunto fino a noi con la sua potente efficacia narrativa tanto da ammaliare moltitudini di turisti, specie stranieri, forse significa che si tratta di  un terreno su cui si potrebbe seminare ancora e meglio. La bella stagione è alle porte, cinicamente parlando il riscaldamento globale se è un segno inquietante sotto vari punti di vista può essere un’ulteriore opportunità per allungare la stagione, da marzo a ottobre. Tra le modalità di trasporto a impatto ecologico ridotto rispetto alla gomma c’è la via d’acqua naturale, con una rete passeggeri (nella foto, un battello in navigazione) che tocca luoghi di incomparabile seduzione, ad esempio la perla del Lario Bellagio con le sue ville di delizia, e Villa Carlotta a Tremezzina che ormai totalizza oltre 200mila presenze l’anno. Il paesaggio c’è, monumenti e parchi storici abbondano, l’infrastruttura è attiva: perché allora non  concedersi il lusso di un sogno, e immaginare uno o più cicli di “battellate della bellezza”, ad esempio con la presenza a bordo di momenti culturali e musicali, presentazioni di libri, mostre di arte, foto e altri spunti didattici per consentire di fare sistema a una filiera del turismo che ha tante energie da spendere e può essere uno dei volani economici del territoriio? Le associazioni di volontariato che operano sul fronte sono esse pure uno strumento, e così  le guide turistiche. Certo, visto che la formula vincente oggi è «l’analisi costi-benefici», occorrerà fare conteggi  adeguati. Ma lasciateci sognare, il costo è zero.

  • Abbandono e competenze, le crepe del sistema scuola

    Abbandono e competenze, le crepe del sistema scuola

    di Adria Bartolich

    Non c’è dubbio che l’abbandono precoce degli studi costituisca a tutti gli effetti un fallimento educativo.  Dopo molti sforzi l’Italia si attesta su una media del 14% di abbandoni, dietro  solo alla Spagna tra i Paesi di prima adesione all’Unione Europea e  al quarto posto se consideriamo anche i Paesi di ultima adesione.  Il dato si è fortemente abbassato – grazie a interventi mirati alla riduzione della dispersione scolastica – nell’ultimo decennio di ben quattro punti percentuali, ma lo sforzo non è stato sufficiente  per raggiungere l’obiettivo  del 10% fissato dalla Ue.

    Se poi analizziamo i dati  incrociandoli, vediamo che  gli abbandoni riguardano soprattutto le scuole professionali, gli studenti che provengono da famiglie disagiate, dalle  aree povere e dalle  regioni del Sud; queste ultime fanno registrare  quasi il 19% di abbandoni (con le punte alte della Sardegna  oltre il 21%, della Sicilia al 20%, di Campania al 19% e Puglia al 18,6 %) mentre il  Nord Ovest è quasi al 12%, il Nord Est al 10,3% e il Centro al 10,7 %.

    E anche all’interno delle macroaree ci sono delle differenze in alcuni casi abbastanza importanti, sia in negativo che in positivo. Ad esempio, Catania e Caltanissetta superano il 25% , Napoli è al 22% e Avellino all’8%, addirittura al di sotto dell’obiettivo  dell’Unione Europea, così come Oristano, a meno del 10%.

    Si può quindi azzardare l’ipotesi che, parametri oggettivi a parte, molto possano fare le politiche scolastiche anche locali. La ragione più forte per la quale si sostiene la necessità di un sistema dell’istruzione  pubblico si basa principalmente su due pilastri: la scuola deve essere accessibile a tutti e il sistema nazionale unico garantisce un’omogeneità del servizio, delle conoscenze e delle opportunità. Sono capisaldi condivisibili ma che nella pratica trovano difficoltà a realizzarsi.

    Se si fa un ulteriore sforzo di approfondimento nella lettura dei dati e si incrociano le cifre relative alla dispersione scolastica con i dati sulle competenze,  vediamo che le disparità sono molto accentuate  a seconda delle zone e seguono, a grandi linee, l’andamento degli abbandoni.

    Cioè non soltanto in alcune zone c’è più dispersione scolastica ma coloro che non sono dispersi, fatto salvo le eccezioni,  possiedono  mediamente conoscenze e competenze più scarse,  a fronte di parametri per la destinazione delle risorse uguali in tutta Italia, anzi con l’aggiunta di fondi europei e finanziamenti integrativi per le aree a rischio.

    In altre parole, nel sistema scolastico nazionale ci sono delle crepe  che vanno affrontate e riparate  al più presto.