La democrazia immunitaria e la logica del condominio

di Agostino Clerici
Già da qualche anno, per definire il nostro sistema
politico, c’è chi parla di «democrazia immunitaria». In queste settimane
pensiamo subito all’emergenza sanitaria dovuta al coronavirus cinese. Ma essa è
soltanto un episodio, la punta dell’iceberg di un atteggiamento diffuso dentro
il modello di democrazia in cui viviamo. La parola «immunitaria» è in
contrapposizione a «comunitaria»: la democrazia, invece che essere lo spazio
comune a cui partecipare («libertà è partecipazione», cantava Giorgio Gaber)
per costituire una comunità, sembra essere sempre più la garanzia istituzionale
di una somma di immunità in cui i singoli individui-cittadini cercano
protezione.
La logica è quella del condominio in cui ci sono tanti
appartamenti. Si direbbe che mai come in questo caso le parole sono uno
specchio trasparente della realtà. C’è una somma di proprietari che insieme
costituiscono l’unico dominio, il condominio appunto, ma poi essi vivono
ciascuno nel proprio appartamento, ovvero reclamano uno spazio privato,
appartato e protetto. Il modello democratico che si impone nell’Occidente a
partire dalla modernità assomiglia proprio ad un condominio, con i suoi
regolamenti che, sotto l’apparenza di promuovere il bene comune, in realtà sono
tesi a proteggere le immunità individuali.
Il momento dell’assemblea condominiale è rivelatore di
questa singolare ipocrisia dei fini. Se si vuole sfiorare la parodia, basta
evocare la famosa scena fantozziana, in cui una formale gentilezza caratterizza
i rapporti tra i condòmini fino a quando non viene dichiarata aperta
l’assemblea: si scatena allora la guerra, ovvero viene a galla la litigiosità
che era già latente. In realtà, se ciascuno potesse avere la sua casetta con
tutti i servizi e qualche chilometro di privacy tutt’attorno, allora sarebbe
più facile avere garantita la libertà di muoversi ed esprimersi senza essere
toccati e senza venire inibiti dall’esterno. Ma se si è costretti ad abitare in
condominio, allora sia chiaro che il condominio – ovvero il dominio comune, la
democrazia – ci deve essere prima di tutto per garantire il «mio» diritto di
appartamento. La libertà è intesa non come espansione e creazione, ma nel segno
della salvaguardia e della protezione.
È fin troppo facile andare a trovare la conferma di questa
sorta di democrazia condominiale nello spettacolo che ci viene quotidianamente
offerto dalla politica politicante, che sembra essere formata da inquilini dei
diversi appartamenti – in fondo, anche la parola «partito» ha il medesimo
significato – che sono perennemente riuniti in assemblea condominiale, e molto
spesso persino in modalità fantozziana, assai poco edificante. Purtroppo anche
questa scenografia politica è solo la punta di un iceberg, perché sotto il pelo
del visibile sta il diffuso modo di pensare e di vivere, che si nutre di
individualismo e rivendicazione, e che si interessa del bene comune solo quando
il bene comune ha a che fare con il proprio bene personale. Non si sbaglia di
molto, allora, ad affermare che la «democrazia immunitaria» è la risposta
istituzionale più consona alla tendenza dominante nell’uomo moderno.
Sembrerebbe, il mio, un teorema perfetto. E, quindi, senza
speranza. Ma non può essere così, perché l’uomo è fatto di tutt’altra pasta e
la democrazia ha altri ideali e modelli a cui potersi ispirare.