Appuntamento imperdibile, per grandi e piccoli, a Pasquetta, in 39 giardini italiani. Parte infatti la Caccia al Tesoro Botanico, ideata e organizzata da Grandi Giardini Italiani, ottima occasione per far avvicinare i bambini (di età compresa tra i 6 e i 12 anni) all’amore per le piante, i fiori e gli alberi, facendo loro scoprire e riconoscere in maniera giocosa – foglia dopo foglia – gli alberi e le piante presenti nei parchi, e iniziandoli così alla conoscenza della botanica.E quale occasione migliore del giorno di Pasquetta, lunedì 22 aprile, per una passeggiata e una bella caccia botanica? L’iniziativa si svolge come un gioco in cui si imparano i nomi degli alberi, la loro provenienza e la storia delle scoperte botaniche in modo divertente e innovativo. Mentre i più piccoli sono impegnati nella caccia al tesoro botanico, per i genitori e tutti gli adulti vengono proposte visite guidate speciali alla scoperta dei giardini, con la possibilità di partecipare a eventi o visitare mostre d’arte in corso nei diversi Grandi Giardini Italiani.Nella giornata di Pasquetta i proprietari e i curatori dei Grandi Giardini Italiani prestano particolare attenzione a soddisfare la curiosità dei bambini per la natura. Così divertendosi all’aria aperta, i bambini porteranno a casa il ricordo di una giornata speciale passata in un “Grande Giardino Italiano”, avendo imparato il vasto e straordinariamente ricco mondo delle piante e, di conseguenza, speriamo che ne avranno più cura rispetto alle generazioni che li hanno preceduti.I Grandi Giardini Italiani nei quali si svolge l’edizione 2019 della Caccia al Tesoro Botanico sono nel Comasco Villa Olmo (Como), Villa Carlotta (Tremezzina), Villa Melzi d’Eril (Bellagio), il Parco della Fondazione Minoprio (Vertemate con Minoprio), e nel Lecchese Villa Monastero (Varenna).Grandi Giardini Italiani è un’impresa culturale, fondata nel 1997 da Judith Wade, la cui mission è mettere a reddito i beni culturali italiani sia di proprietà pubblica che privata.Oggi è un network di ben 124 parchi visitabili in 12 regioni italiane, che fa lavorare insieme proprietari e curatori. Il network è nato con 12 giardini e 200mila visitatori, e nel 2013 ha fatto registrare 8 milioni e 340mila ingressi, per il 52% visitatori italiani. Il network, di recente, ha dato vita a “Gardens of Switzerland”, iniziativa per far conoscere e valorizzare i giardini della confederazione, spesso contraddistinti da un altissimo livello di manutenzione, attraverso convegni, corsi e pubblicazioni. La sede è a Villa Erba, in largo Visconti 4 a Cernobbio.
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Parco Negretti agli islamici, sì della giunta
Gli islamici pregheranno al parco Negretti durante il Ramadan. Nonostante il “niet” preventivo della Lega pronunciato con un comunicato stampa dai toni perentori, la giunta di Como – con l’eccezione dell’assessore leghista Adriano Caldara – ha accettato la richiesta della comunità islamica. Dal punto di vista burocratico e procedurale, infatti, non si riscontrava alcun impedimento alla concessione. Assente per impegni parlamentari a Roma, l’assessore e vicesindaco leghista, Alessandra Locatelli, che raggiunta al telefono spiega. «Spero che arrivi il giorno in cui si possa dare una risposta diversa – dice – Ovvero che la cultura islamica sia integrata nella nostra cultura e rispetti i principi della Costituzione italiana, a iniziare dal rispetto delle donne. Il Parco Negretti, inoltre, non è certo la destinazione adatta. Per un mese questo spazio sarà inutilizzabile». I consiglieri comunali del Pd avevano parlato di «sceneggiata» leghista. Anche Forza Italia con il capogruppo Enrico Cenetiempo e il consigliere Luca Biondi hanno attaccato la Lega. «Sono onestamente un po’ stufo di questa politica basata sull’odio verso gli altri, verso “i diversi” – dice Biondi – Questi comportamenti instaurano solo odio reciproco».«Gli articoli 8, 19 e 20 della nostra Costituzione garantiscono il riconoscimento e la tutela di tutte le confessioni religiose», scrivono infine Roberto Capra e Luigi Nessi, portavoce di La prossima Como.
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Paratie, si allungano tempi e costi. Bando di gara soltanto a giugno: serviranno altri 900mila euro
Il progetto che slitta di tre mesi e i costi che aumentano di altri 900mila euro. Anche la Regione sembra arrendersi di fronte alla maledizione delle paratie. Non alza ancora bandiera bianca – non potrebbe nemmeno, in realtà – ma è costretta a prendere tempo. E a trovare giustificazioni per un ritardo che adesso comincia a diventare preoccupante.Le cattive notizie sullo stato dell’arte del lungolago di Como sono giunte nel modo meno consueto e atteso: attraverso un filmato di 6 minuti inviato via mail alle redazioni dei giornali e postato anche su YouTube.Un dialogo tra l’assessore regionale Massimo Sertori e il sottosegretario alla presidenza della Lombardia, Fabrizio Turba. Entrambi leghisti, entrambi in evidente imbarazzo nel dover comunicare l’ennesimo slittamento di un cantiere la cui riapertura era stata promessa in tempi brevi ormai due anni e mezzo fa da Roberto Maroni.Nel video in cui Sertori e Turba si raccontano come stanno le cose, l’atmosfera è un po’ sospesa e la discussione un tantino surreale.La sostanza, invece, molto chiara. «È arrivato l’ultimo aggiornamento del progetto che comunque è in progress – dice nelle battute iniziali l’assessore Sertori – Ci sono stati passaggi importanti, la conferenza dei servizi è conclusa e sono state recepite alcune osservazioni. Questo, inevitabilmente, ha aumentato alcuni costi. Non cifre incredibili ma da 15 milioni siano andati a 15 milioni e 900mila euro».A novembre dello scorso anno, in un’affollata conferenza pubblica in Biblioteca, lo stesso Sertori aveva dichiarato praticamente chiusa la fase progettuale. Nuovi costi pari al 6% del totale non sembrano in realtà poca cosa. Sarebbe interessante capire da che cosa dipenda questo aggiustamento delle previsioni di spesa, ma nel filmato non vengono date spiegazioni nel dettaglio.Quando Turba chiede al collega di partito «su quali problematiche» si siano appuntati i maggiori costi, la risposta di Sertori è generica. «Ci sono alcune osservazioni recepite dalla conferenza dei servizi. L’Iva, ad esempio, è passata dal 20 al 22%».Strano, perché l’aumento cui si riferisce l’assessore è del 2013. «Poi – prosegue Sertori – l’accantieramento che abbiamo chiesto, il meno invasivo possibile anche da un punto di vista della visibilità durante i lavori, ha comportato la revisione del piano di sicurezza e quindi tutta una serie di altri aumenti. Abbiamo anche fatto alcuni adeguamenti prezzi al 2019. E nel totale sono usciti questi 900mila euro in più».Cifra, insiste Sertori, «che non è una cosa grandissima». Quindi la rassicurazione: «Adesso il progetto è definitivo, chiuso e già in fase di validazione. A meno di sorprese, ma non ne intravvediamo, a giugno saremo in grado di andare in gara».A giugno. Quattro mesi dopo quanto annunciato a novembre, quando si era parlato di bando da pubblicare entro febbraio 2019. «Certo, girano le scatole che siamo in ritardo di due o tre mesi – confessa Sertori a Turba – ma credo che anche per voi comaschi, che avete aspettato tanto, un ritardo di due o tre mesi sia una cosa quantomeno accettabile». Se lo dice lei, assessore.
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Orientamento a Sagnino: 250 ragazzi ai campionati studenteschi
Studenti delle scuole della provincia di Como, esattamente 250, nel quartiere e nel bosco di Sagnino, alla ricerca delle “lanterne” guidati da una mappa realizzata appositamente per l’occasione.Mobilitazione di giovani per la fase provinciale dei campionati studenteschi di orienteering per le scuole secondarie di primo e secondo grado (ovvero medie e superiori).Un evento che non è certo passato inosservato visto il numero di partecipanti che hanno preso parte alla competizione con cartine e bussole alla ricerca di punti di riferimento (le “lanterne” appunto) nella zona del quartiere cittadino.Punto di ritrovo e arrivo della gara è stato il Campo sportivo Caduti di Nassiryia. La manifestazione è stata possibile grazie a un precedente lavoro iniziato con la messa in sicurezza della zona boschiva di Sagnino, oggi fruibile dai cittadini. Successivamente, nell’ambito dello sviluppo territoriale del comune di Como, l’associazione Erone Onlus, presieduta da Alberto Vannelli, con la collaborazione della società sportiva Orienteering Como Asd e il sostegno di uno sponsor, è stato promosso e realizzato un progetto di rivalutazione del quartiere di Sagnino, con la mappatura della zona, che offrirà opportunità ai residenti, alle scuole e alle associazioni.«Dopo il lavoro fatto per mettere in sicurezza il bosco, non potevamo lasciarci sfuggire l’occasione di organizzare una manifestazione sportiva a Sagnino» ha detto Vittorio Mottola, che è stato tra gli organizzatori dell’iniziativa per gli studenti.«Quale occasione migliore della gara provinciale di orientamento? Pertanto ho chiamato Orienteering Como che ha proceduto con la mappatura. È stata una giornata di festa, allegria e sano movimento» ha concluso Mottola.
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Nuovo municipio in Ticosa: ecco perché la giunta ci crede. Presto l’avvio della consultazione di tutta la città
Prevalente interesse pubblico, ampia consultazione di associazioni e categorie, condivisione con tutte le forze politiche della città, minoranze comprese.Sono questi alcuni dei passaggi chiave del processo che porterà, nei prossimi mesi, prima alla progettazione e poi alla costruzione del nuovo municipio di Como nell’area dell’ex Ticosa.Giovedì la giunta ha iniziato a discutere di questa eventualità ascoltando la relazione del dirigente dell’ufficio Urbanistica.Le pochissime informazioni che filtrano dal Palazzo – curiosamente ancora chiuso a riccio e molto parco di notizie su questa vicenda – parlano di un’idea covata da molto tempo e costruita, in questa fase, anche attraverso la revisione di tutti i vecchi progetti. Una sorta di “summa” tecnico-concettuale alla cui base starebbe un unico principio: insediare in Ticosa strutture che abbiano funzioni pubbliche di interesse collettivo.Niente residenze, quindi. Piuttosto parcheggi, molto verde, qualche attività commerciale.I dettagli non ci sono. Perché si tratta di una fase di abbozzo. La giunta giovedì aveva come obiettivo soprattutto di incassare il primo sì del centrodestra, di decidere cioè se e come andare avanti su qualcosa di cui comunque si parlava da tempo.Perché nonostante lo scalpore creato dalla notizia, l’idea di trasferire gli uffici comunali in Ticosa non è nuova né è nata due giorni fa. Mentre trattava con Multi per la risoluzione del contenzioso aperto da anni, l’esecutivo di Como ha infatti tenuto in piedi un “tavolo” su via Grandi e ha consultato periodicamente le varie associazioni di categoria, avanzando tra le altre anche l’ipotesi di realizzare in Ticosa un centro direzionale a carattere pubblico.Ieri né l’assessore all’Urbanistica Marco Butti né il sindaco Mario Landriscina hanno comunque voluto commentare quanto rilanciato dal Corriere di Como in esclusiva sul progetto del nuovo municipio.Attraverso canali non ufficiali si è tuttavia saputo che molto presto vi sarà in maggioranza un passaggio politico, quindi subito dopo sarà avviata la fase di consultazione – giudicata fondamentale – degli ordini degli architetti e degli ingegneri.Sembra che il sindaco abbia anche fatto sapere di voler esporre l’idea alle opposizioni, dicendosi convinto che il trasloco della casa comunale debba necessariamente coinvolgere tutte le forze rappresentate in consiglio.
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Ndrangheta, il vicesindaco di Cantù: «Pronti a chiedere i danni»
All’indomani della sentenza sulla ndrangheta a Cantù, Alice Galbiati, vicesindaco della città, annuncia che l’amministrazione è pronta ad avanzare una richiesta di risarcimento danni. «In passato si è forse sottovalutata la presenza o la pericolosità di questi fenomeni nelle nostre zone – spiega Galbiati – ora, alla luce di questa prima sentenza, dobbiamo alzare al massimo il livello di guardia. Il territorio dev’essere presidiato, a partire dal centro, da dove è partita tutta questa vicenda. Dobbiamo mettere in campo tutte le forze per evitare ogni radicamento della criminalità organizzata e difendere le potenziali vittime. In consiglio comunale abbiamo approvato una mozione che ci impegnava a fare richiesta di risarcimento danni in caso di sentenza di condanna. La sentenza è arrivata, quindi daremo seguito alla mozione: valuteremo già nei prossimi giorni con i nostri legali come muoverci». E smorza subito le polemiche sulla sua assenza in tribunale durante la lettura della sentenza. «Ero in comune a lavorare. E sinceramente chi strumentalizza la mia assenza il giorno della lettura della sentenza lo fa solo per motivi che non comprendo», dice Alice Galbiati. Intanto Palazzo Pirelli, come il Comune di Cantù, non si era costituito parte civile nel processo sulla ‘ndrangheta canturina ma ora, su iniziativa del Movimento 5 Stelle, potrebbe richiedere i danni. «Da parte nostra accerteremo la possibilità di portare in Consiglio Regionale una mozione analoga affinché vengano richiesti i danni arrecati alla città di Cantù. Del resto il Movimento 5 Stelle è sempre stato agguerrito per combattere la criminalità organizzata», assicura il consigliere regionale del M5S Raffaele Erba.
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L’amarezza degli avvocati difensori «Nessun metodo mafioso»
«Continua per noi il venerdì di passione», dice l’avvocato Ivana Anomali riferendosi alla giornata di ieri in cui è stata letta la sentenza di condanna.«Ma continueremo a portare la nostra croce sapendo che i fatti di cui abbiamo sentito parlare in quest’aula non hanno una connotazione mafiosa. Ne riparleremo in Appello».La voce dell’avvocato canturino che ha rappresentato Valerio Torzillo è la stessa che viene espressa da tutti gli altri legali delle difese. A partire da Tommaso Scanio, che ha rappresentato in aula il principale indagato, Giuseppe Morabito. «C’è grande amarezza – dice Scanio – Pensavamo di avere dato al Collegio una diversa e credibile lettura dei fatti che ci venivano contestati. L’unica nota lieta è l’abbassamento della pena per Andrea Scordo, rispetto a quanto era stato chiesto dal pm (7 anni e 8 mesi contro i 10 anni invocati dalla pubblica accusa nel corso della requisitoria,ndr)».«L’impianto accusatorio è stato confermato – prosegue l’avvocato di Morabito – ma secondo noi l’associazione era e rimane contestabile. Vorrà dire che sposteremo la nostra battaglia in Appello».Gianluca Crusco è stato invece l’avvocato di Emanuele Zuccarello. «Non doveva essere questo il risultato finale del processo – dice – Speravamo di aver insinuato dei dubbi anche e soprattutto per quanto riguarda l’aggravante del metodo mafioso, così purtroppo non è stato».Gaetano Cianciulli ha invece difeso Luca Di Bella, l’unico imputato che era giunto al processo essendo ai “domiciliari” e che è uscito dall’aula con la pena più lieve, seppur pesante (7 anni): «Puntavamo all’assoluzione – commenta l’avvocato – Cosa ha commentato il mio assistito subito dopo la decisione dei giudici? Era preoccupato. Il pm aveva chiesto 9 anni e 4 mesi, ne abbiamo presi 7 e c’è stato un piccolo “sconto” che conferma come la nostra posizione fosse più defilata rispetto alle altre. Però non volevamo questo, volevamo una sentenza di assoluzione».Antonio Manno è stato invece difeso dal legale Maurizio Gandolfi.«Leggeremo le motivazioni, ovviamente – commenta – La pena è severa (9 anni e 8 mesi, ndr). Del resto però se viene riconosciuta l’esistenza dei reati che ci venivano contestati le pene non possono essere che pesanti. Ma il punto è proprio questo: esistono questi reati? È giusto che il mio assistito sia stato riconosciuto responsabile? Per noi no perché in quest’aula non sono state portate prove. Vedremo ora cosa accadrà in Appello».Un filo conduttore che unisce tutte le difese: quelli di cui si è parlato «non erano atti a connotazione mafiosa». Il collegio di Como ha però deciso diversamente accogliendo nella quasi totalità le richieste della pubblica accusa.Ma lo scontro è già pronto a divampare nuovamente dopo una tregua di 90 giorni, quella necessaria ai giudici lariani per mettere nero su bianco le motivazioni che hanno portato al secolo di condanna per i nove imputati.
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Cantù, la reazione di Morabito, il principale imputato: «Me l’aspettavo»
«Ci sentivamo già sul patibolo. Ce l’aspettavamo. Non avevamo grandi speranze». Pochi minuti dopo la sentenza che ha sancito la presenza in piazza Garibaldi della ’ndrangheta, Giuseppe Morabito, il principale imputato, colui per cui erano stati chiesti – e poi sono stati concessi – 18 anni di carcere, ha voluto parlare con il proprio avvocato Tommaso Scanio.Una telefonata ricevuta direttamente nell’aula della Corte d’Assise di Como dove era stato predisposto un sistema di comunicazione con le carceri dove i detenuti si trovavano per seguire le udienze.
Così Morabito ha potuto parlare con l’avvocato per confrontarsi su quanto avvenuto poco prima.Nessuna sorpresa, tuttavia. «Ero sul patibolo, già lo sapevo che sarebbe andata così», avrebbe riferito all’avvocato Scanio che lo ha assistito nel corso del processo. «Le accuse per le risse ci stanno, e alcune le hanno anche ammesse, però noi continuiamo a non vedere l’associazione», ha aggiunto il legale. E su questo punto proseguirà la battaglia.Morabito è stato condannato per l’associazione di stampo mafioso con Domenico Staiti e Rocco Depretis. A pena espiata – come è stato deciso dai giudici – verranno sottoposti alla misura di sicurezza della libertà vigilata per la durata di tre anni.Il nipote del boss “U Tiradrittu” non si era sottratto – come tutti gli altri imputati – all’esame e alle domande dell’accusa.«Mio nonno l’ho visto solo in galera. Prima era latitante, poi lo arrestarono – aveva detto al Collegio – Negli ultimi mesi per tutti sono diventato ’ndranghetista, così mi dicono. Ma fino al giorno prima non avevo mai avuto problemi con nessuno. Ludovico Muscatello (il nipote del boss di Mariano, ndr)? Per me era un fratello, nel senso di un amico. L’ho visto crescere. Ma ero più amico di Mirko Pagani, il titolare della discoteca “Spazio”».
Ovvero il locale che era anche il cuore delle attività notturne che ruotavano attorno a piazza Garibaldi e che, secondo la Dda, gli imputati volevano monopolizzare e controllare.
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La ’Ndrangheta a Cantù, condanne per oltre un secolo
Sì, la ’ndrangheta era attiva in pieno centro a Cantù, nelle serate del “Mercoledrink”, nei locali affacciati su piazza Garibaldi, tra i ragazzi che frequentavano le notti brianzole per divertirsi. In mezzo a loro si muoveva subdola la malavita organizzata di stampo calabrese. È questo quello che ha sancito il Collegio di Como con la sentenza letta ieri alle 10.53, dopo una camera di consiglio durata meno di un’ora. È stata a suo modo una giornata storica quella vissuta all’interno del palazzo di giustizia di Como. Nove condanne, tre per associazione di stampo mafioso, le altre per reati come estorsioni e pestaggi aggravati dal metodo mafioso. Le pene vanno da un massimo di 18 anni per Giuseppe Morabito, 32enne residente a Cantù, nipote del boss “U Tiradrittu”, fino ad un minimo di sette anni per Luca Di Bella, 28 anni, l’unico che ha potuto assistere a tutte le udienze del maxi processo comasco dal regime dei “domiciliari”.Nel mezzo, per un totale di anni che ha superato il secolo (101 per la precisione), è stata riconosciuta l’associazione anche al 46enne Domenico Staiti (16 anni e 6 mesi di reclusione) e al 23enne Rocco Depretis (16 anni e 4 mesi). Staiti, Depretis e Morabito sono stati riconosciuto dal Collegio come componenti del Locale di Mariano Comense.Agli altri imputati, cui non veniva contestata l’associazione ma l’aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso per compiere reati di vario tipo (tra cui le angherie nei confronti dei locali pubblici di piazza Garibaldi a Cantù e dei loro clienti), i giudici hanno inflitto pene più basse ma comunque importanti: 9 anni e 8 mesi ad Antonio Manno (23 anni), 9 anni e 8 mesi a Valerio Torzillo (24 anni), 8 anni e 8 mesi a Emanuele Zuccarello (29 anni), 7 anni e 8 mesi a Jacopo Duzioni (26 anni), 7 anni e 8 mesi ad Andrea Scordo (34 anni). Le multe complessive per i nove imputati hanno toccato la cifra di 79.500 euro.Si è concluso così un processo che fin dall’inizio si era fatto notare per essere “turbolento”, tanto che il presidente del Collegio aveva dovuto richiedere – dopo le prime udienze – la presenza in aula delle forze dell’ordine. Gli stessi imputati hanno poi seguito le udienze – tranne quella iniziale – collegati in videoconferenza dal carcere dove erano detenuti.Le richieste del pubblico ministero della Dda, Sara Ombra, erano state solo lievemente più alte, arrivando ad un totale di 113 anni. Ma l’impianto accusatorio è stato confermato nella sua interezza, compresa la tanto battagliata aggravante del metodo mafioso che secondo le difese non sussisteva.Il Collegio di Como si è preso novanta giorni per il deposito delle motivazioni della sentenza.Secondo quanto sostenuto dall’Antimafia di Milano, attorno ai locali di piazza Garibaldi a Cantù (Comune che non si è costituito parte civile, sollevando non poche polemiche) sarebbe andato in scena un tentativo esplicito di controllo delle attività economiche proprio da parte di soggetti che la sentenza di ieri ha sostenuto essere aderenti alla ’ndrangheta. Estorsioni, pestaggi, esplosioni di colpi di arma da fuoco, promesse di “protezione”, pure una gambizzazione che avevano come scopo l’accreditarsi come “controllori” delle attività commerciali nel centro della città. Le difese ovviamente non si fermeranno qui. La palla fin da ora è già pronta per essere passata all’Appello di Milano.
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In tre escono dal carcere e vanno ai domiciliari: «Esigenze cautelari attenuate»
I parenti degli imputati – che nelle precedenti udienze del processo avevano fatto parlare per applausi e tensioni con la presidente della Commissione Antimafia della Regione – ieri hanno ascoltato in silenzio la lettura del dispositivo della sentenza. Lacrime, abbracci, denti stretti ma nessuna esternazione sopra le righe. Non si è registrato alcun episodio degno di nota e l’aula si è svuotata senza problemi.
A presidiarla c’erano comunque i carabinieri, la polizia e gli uomini della polizia giudiziaria. Difficile parlare di motivi per gioire in una sentenza da oltre 100 anni di pena complessiva, eppure i parenti di tre imputati un motivo per consolarsi l’avevano. Contestualmente alla lettura del dispositivo, il Collegio ha anche dato lettura di due ordinanze con cui la misura della custodia cautelare in carcere di Jacopo Duzioni, Valerio Torzillo e Emanuele Zuccarello è stata sostituita con gli arresti domiciliari. Non potranno tuttavia allontanarsi dalle rispettive abitazioni e non potranno comunicare in alcun modo con persone diverse dai rispettivi conviventi e dagli avvocati.
Secondo i giudici di Como, ritenuto il periodo di custodia carceraria trascorso, «che ci si auspica abbia sortito effetto deterrente», e della «definizione del giudizio di primo grado», le esigenze cautelari sono attenuate. Il pubblico ministero Sara Ombra aveva comunque espresso parere contrario. Le istanze erano state presentate dai legali alla chiusura delle arringhe difensive.