Categoria: Cronaca

  • Dopo la neve adesso fioccano le multe. Trenta bus e Tir sorpresi senza dotazioni

    Dopo la neve adesso fioccano le multe. Trenta bus e Tir sorpresi senza dotazioni

    Dopo i disagi di venerdì per la neve, causati in particolare da chi si è messo sulle strade senza le necessarie dotazioni invernali, ora scattano le multe. La prossima settimana almeno una trentina di sanzioni saranno recapitate ad aziende di autotrasporto e ad Asf Autolinee per mezzi che hanno creato intralcio perché sprovvisti di catene. Tra i casi segnalati, un autobus che alle 6.30 di venerdì è salito a Civiglio senza catene, girandosi a un tornante di Garzola. Situazioni simili a Lipomo e Albavilla, sulla Statale per Lecco in Valle Intelvi e a Casnate con Bernate.«Le irregolarità non sono state contestate immediatamente, perché c’era molto altro da fare, – spiega il vicecomandante della Polizia locale di Como, Luciano Campagnoli – ma abbiamo fotografato tutti i mezzi pesanti soccorsi senza catene montate e la prossima settimana provvederemo a recapitare i verbali ai proprietari dei Tir e ad Asf. Si tratta di almeno trenta multe. La sanzione è soltanto di 42 euro, assurdo a mio parere. Dovrebbe essere più elevata in casi simili».«Asf fin dalla giornata di giovedì si è prodigata per affrontare la situazione nel migliore dei modi, attivando tutte le procedure per il maltempo – ha risposto l’ufficio stampa della società di trasporto pubblico lariana – Gli autobus sono stati tenuti al coperto nelle officine, riscaldati prima di prendere servizio, e il personale ha lavorato per attrezzarli in vista delle nevicate. Venerdì mattina, dalle 4.50 e sino alle 6, non ha nevicato – dicono da Asf – e per questo gli autobus sono usciti dal deposito senza aver montato le catene, ma comunque tutti dotati di gomme invernali, non sufficienti in alcune strade con pendenza elevata o su vie non pulite adeguatamente. Nelle ore successive il peggioramento delle condizioni meteo ha creato disagi alla circolazione costringendo alcuni autobus a fermarsi e ad attendere l’intervento delle officine per montare le catene e riprendere il servizio».La pioggia intanto ha lavato strade e marciapiedi. Ieri mattina è rimasta chiusa la via Cardano a causa di alcune pianti pericolanti e la via Mirabello, che da Trecallo porta a Capiago, è stata chiusa in un senso di marcia sempre per una pianta pericolante. I vigili del fuoco sono intervenuti anche a San Fermo. «La convalle è stata sufficientemente pulita – ha dichiarato Campagnoli – Ieri abbiamo avuto qualche problema in periferia». A preoccupare, ora, con l’eventuale abbassamento delle temperature e il rischio che si formi ghiaccio su strade e marciapiedi.

  • Furto in ospedale a Erba: arrestato un 45enne

    Furto in ospedale a Erba: arrestato un 45enne

    Un 45enne è stato arrestato ieri sera dai carabinieri a Erba con l’accusa di furto. Si era impossessato degli effetti personale di un degente dell’ospedale Fatebenefratelli e poi si è dato alla fuga, ma è stato raggiunto e arrestato dalle forze dell’ordine, che lo hanno portato in carcere in attesa del processo con rito direttissimo.

  • Il truffatore del telefonino ha agito ancora. Denunciato per la seconda volta in  pochi giorni

    Il truffatore del telefonino ha agito ancora. Denunciato per la seconda volta in pochi giorni

    Denunciato tre giorni fa dai carabinieri per la cosiddetta truffa dello specchietto, un 36enne di Como ieri non si è fatto alcuno scrupolo a recitare nuovamente lo stesso copione.In modo decisamente spudorato è andato in scena sullo stesso palcoscenico di inizio settimana, ovvero in via Nino Bixio, a Como. Per chi non è pratico della città, la via Bixio è una strada in pendenza che sale da piazza Teresa e arriva alla rotonda per via Per San Fermo e via Bellinzona. Nel tratto iniziale della salita, passa sotto il ponte della ferrovia e la strada è particolarmente stretta. Il truffato si appostava proprio in quella zona della Bixio, aspettando le sue vittime. Una botta allo specchietto dell’auto, poi la sceneggiata. “Ferma, ferma! Mi hai rotto il cellulare”. Urtare un pedone (utente fragile) con l’auto può significare solo guai. Così gli automobilisti arrivano ad accettare un risarcimento immediato del danno.L’ultima vittima del truffatore è stato un uomo, un libero professionista comasco. Il 36enne – poi identificato dai carabinieri – dopo aver finto di essere urtato dallo specchietto dell’automobile, ha chiesto all’automobilista un rimborso di 50 euro mostrando un cellulare rotto. La vittima ha consegnato i 50 euro, ma insospettita ha riferito l’episodio alle forze dell’ordine. I carabinieri sono subito risaliti al 36enne ed è scattata la seconda denuncia a piede libero in poche ore.

  • Interrogati in carcere i baby rapinatori. I legali: «Non si rendevano conto della gravità dei loro atti»

    Interrogati in carcere i baby rapinatori. I legali: «Non si rendevano conto della gravità dei loro atti»

    Ammettono le loro responsabilità, non sanno spiegare perché lo hanno fatto, chiedono scusa, piangono, vorrebbero un abbraccio della mamma.Davanti al giudice che deve interrogarli nel carcere minorile Beccaria di Milano, i cinque ragazzini della baby gang di Como arrestati mercoledì scorso sembrano comprendere il peso dei cinque mesi di follia e dei 38 reati che vengono contestati alla banda.Forse, davanti alle domande del giudice alle quali tutti hanno scelto di rispondere, iniziano a rendersi conto della gravità di quello che viene loro contestato. Nulla che possa finire sotto l’etichetta di “ragazzata”: furti, rapine, ricettazioni, lesioni, danneggiamenti, violenze gratuite a coetanei terrorizzati e vessati senza motivo.Dopo gli interrogatori, restano tutti in carcere. «Si è aperto, ha raccontato tutto, si è detto colpevole e dispiaciuto, solo ora si sta rendendo conto di quello che ha fatto», dice riferendosi a uno degli arrestati il suo avvocato difensore, Francesca Binaghi.«Agiva spinto dalla forza del gruppo – aggiunge la legale – Qualcuno proponeva di fare un colpo e gli altri lo seguivano. Non era per i soldi o per avere determinati oggetti ma per il gusto di farlo. Parliamo in alcuni casi di ragazzini affidati ai servizi sociali – continua Binaghi – Credo sia giusto interrogarci su perché non sia stato fatto nulla prima. La mamma ha chiesto aiuto, si è resa conto da tempo di non riuscire a gestire la situazione, ma evidentemente non c’è stata la risposta necessaria. Questo è un fallimento di tanti adulti, dobbiamo sentirci chiamati in causa direttamente».Uno dopo l’altro, tutti i cinque ragazzini arrestati hanno raccontato al giudice quello che è accaduto a Como da giugno a novembre, fino all’operazione di polizia e carabinieri con misure restrittive per 17 minorenni accusati di aver fatto parte della baby gang. «Ha risposto a tutte le domande, non ha negato le sue responsabilità e ha riferito quello che ricordava – dice Alessandro Borghi, legale di un altro dei minorenni fermati – Parliamo di ragazzini che, quando formavano il gruppo, trovavano negli altri la forza e non si rendevano conto della gravità di quello che stavano facendo».«Ha ammesso le sue responsabilità, non ha negato i fatti e ha risposto alle domande», dice anche un altro dei legali, Davide Pivi. Per ora, la loro vita resta all’interno del Beccaria, dove hanno già iniziato ad andare a scuola. Una novità, almeno per quei ragazzini che avevano abbandonate da tempo le lezioni, senza aver finito le medie. Del resto, lo aveva detto anche il procuratore della Repubblica dei minori Ciro Cascona mercoledì scorso, nel giorno degli arresti: «Abbiamo voluto una misura così drastica nella speranza di avviare per tutti un percorso di responsabilizzazione».

  • Malavita a Cantù: «Mi hanno inseguito e picchiato: erano 5 contro uno». Un 22enne racconta il pestaggio in piazza

    Malavita a Cantù: «Mi hanno inseguito e picchiato: erano 5 contro uno». Un 22enne racconta il pestaggio in piazza

    «Ho visto che stavano prendendo a schiaffi un mio amico. Così sono entrato».Inizia così il racconto di un ragazzo di Caslino, 22 anni, unica parte civile nel processo della Dda – in corso a Como – contro le presunte attività di controllo di piazza Garibaldi a Cantù messe in atto da un gruppo di ragazzi che l’accusa ritiene essere vicini alle famiglie ’ndranghetiste calabresi. La vittima, ieri mattina, ha riferito al Collegio giudicante quanto avvenne la notte tra il 9 e il 10 gennaio 2016. «Eravamo appena usciti dalla discoteca, volevamo mangiare un kebab». Un amico entra così nel locale. «Da fuori vidi che lo stavano prendendo a sberle. Sono entrato. Non ho fatto in tempo a dire nulla, hanno preso a sberle anche me». Pare che, a questo punto, un ragazzo del gruppo di calabresi abbia tentato di riportare la calma, offrendo una birra. Il 22enne non avrebbe accettato allontanandosi.«Una reazione che ha acceso ancora di più gli animi», ha poi testimoniato l’amico.Il 22enne sarebbe così stato inseguito «da almeno cinque persone. Mi hanno preso a pugni, schiaffi e calci. Hanno continuato anche quando sono caduto a terra».L’epilogo è stata una prognosi superiore ai 20 giorni, il rischio di perdere un occhio e due costole fratturate.La versione di due imputati che avrebbero preso parte al pestaggio – e che ieri hanno chiesto di parlare in videoconferenza – è molto diversa: «C’è stata una discussione – ha detto Rocco Depretis, che secondo i testimoni dell’accusa sarebbe stato quello ad iniziare a schiaffeggiare la vittima – Giuseppe Morabito, mio cugino, è intervenuto per scusarsi ma la discussione è proseguita fuori. Sono arrivate altre persone e sono finito a terra, mi hanno picchiato». «Non capisco dove sia il metodo mafioso – gli ha fatto eco lo stesso Morabito, sempre in videoconferenza – È stata una lite imprevista, partita per motivi banali».La mattinata si era aperta con la deposizione di un ex titolare di una attività commerciale affacciata sulla piazza centrale di Cantù. Una testimonianza carica di «non ricordo» e racconti molto diversi rispetto a quelli che erano stati fatti di fronte ai carabinieri in fase di indagine. La presidente del Collegio più volte ha dovuto riprendere il testimone (che nel frattempo ha venduto l’attività) invitandolo a «dire la verità» e a «non prendere in giro nessuno», pena il «rischio di imputazione per falsa testimonianza». Il barista all’epoca aveva riferito di aver venduto l’attività per le situazioni che ruotavano attorno alla piazza, ma ieri ha fornito una versione diversa: «Sì, il clima non era bello, ma questo era solo uno dei motivi che mi portarono a cedere il bar».Eppure ha confermato che una parte del gruppo dei calabresi non sempre pagava, e che lui evitava di chiedere i soldi per «evitare problemi inutili». «Sì, la cosa mi dava noia, ma non le interpretavo come estorsioni».

  • Baby gang a Como. Il filosofo Galimberti: «Genitori e scuola sono assenti»

    Baby gang a Como. Il filosofo Galimberti: «Genitori e scuola sono assenti»

    «La fretta che ogni giovane ha di realizzare i propri sogni rischia di degenerare in una forma di cinismo del tutto sconosciuta alla generazione dei suoi genitori. Ragazze e ragazzi si affidano all’indifferenza e al controllo dei sentimenti e delle emozioni, per evitare che le passioni diventino un ostacolo all’autoaffermazione. Questi giovani, allora, hanno bisogno di essere ascoltati e hanno bisogno di risposte».Nelle pagine del suo ultimo libro dedicato ai giovani, il filosofo e psichiatra Umberto Galimberti, ordinario di Filosofia della Storia all’università Ca’ Foscari di Venezia, sembra in qualche modo prevedere quanto accaduto a Como negli ultimi giorni. Non per qualità particolari di veggenza, ma perché il fenomeno della violenza giovanile, il bullismo e il cyberbullismo sono ormai purtroppo una caratteristica del panorama adolescenziale del nostro Paese.Professor Galimberti, che cosa sta succedendo?«Niente di straordinario, in realtà. Un fenomeno molto diffuso in Inghilterra si è spostato altrove. Davvero qualcuno pensava che non potesse mai arrivare da noi?».Da dove nasce tutta questa violenza? Molti sostengono che a monte vi siano soprattutto situazioni legate a famiglie in difficoltà.«Quello delle famiglie disagiate è un dato oggettivo. Ma esiste anche una impressionante frigidità delle famiglie borghesi, all’interno delle quali non c’è dialogo. Il primo problema è quindi l’assenza dei genitori».E che cos’altro?«L’incapacità della scuola di educare. La scuola italiana è in una situazione disastrosa. Non educa, al massimo istruisce. Educare i ragazzi significa portarli dallo stadio pulsionale a quello emotivo, fare in modo che possano distinguere il bene e il male, capire la differenza tra corteggiare e stuprare».È quella che lei chiama «risonanza emotiva».«Certo. Nei giovani si deve formare la risonanza emotiva che non è un processo prestabilito ma educativo. Le nostre nonne che ci leggevano le favole prima dormire ci raccontavano la differenza tra bene e male. Le fiabe servivano a questo, a farci acquisire gradatamente la risonanza emotiva».C’è chi sostiene che questi ragazzi siano privi di sentimenti. Lei che ne pensa?«Il sentimento non è un dato naturale ma culturale. Va insegnato. Com’è sempre accaduto, dalle culture più primitive agli antichi greci con i loro miti. Oggi c’è la letteratura, dove si impara il dolore, l’amore, l’accidia, l’entusiasmo. Noi riempiamo le scuole di strumenti digitali mentre dovremmo riportare in classe la letteratura, ricordando che la scuola serve a formare. Le competenze si acquisiscono dopo».Quanto pesa la società digitale in tutto questo?«Moltissimo. La rivoluzione digitale influisce in modo radicale. Prendiamo i cosiddetti social che di sociale non hanno nulla. Il sociale comincia quando si è insieme, dove non c’è la persona fisica non esiste. Oggi non ci sono più oratori, partiti, luoghi di aggregazione».Perché questi ragazzi si ribellano alle istituzioni?«Si ribellano verso le istituzioni perché non hanno “ucciso” il mondo adulto. Perché sono “amici” dei genitori dei quali dovrebbero invece essere figli. Se non superi Edipo dove dovresti, in famiglia, lo fai nella strada o nella curva nord».

  • Baby gang,  oggi gli interrogatori dei minori arrestati. Saranno sentiti in carcere al Beccaria

    Baby gang, oggi gli interrogatori dei minori arrestati. Saranno sentiti in carcere al Beccaria

    Il racconto dei loro colpi, delle rapine ai coetanei, dei furti, dei danneggiamenti, delle violenze gratuite, da mercoledì scorso riempie le cronache di giornali, televisioni e siti d’informazione della provincia comasca e non solo.A partire da questa mattina, però, toccherà direttamente ai ragazzini della baby gang di Como parlare, rispondere alle domande, provare a spiegare il perché di cinque mesi di follia. I motivi di azioni che hanno messo in moto indagini delle forze dell’ordine sfociate poi in un’ordinanza del Tribunale dei minori contro diciassette giovanissimi tra i 14 e i 17 anni, accusati di una serie impressionante di reati.Si parla di almeno 38 episodi contestati da polizia e carabinieri ai minori adesso indagati dalla Procura del capoluogo ambrosiano.Proprio a Milano, questa mattina, nel carcere minorile intitolato a Cesare Beccaria, sono in programma gli interrogatori dei cinque tra i componenti della baby gang per i quali è stata prevista la misura restrittiva più drastica, ovvero la reclusione.I cinque sono in cella da mercoledì scorso e adesso, assistiti ovviamente dai loro difensori, potranno per la prima volta esporre ai magistrati la propria versione dei fatti.La scelta di parlare, naturalmente, sarà loro, perché potrebbero anche decidere di restare in silenzio e avvalersi della facoltà di non rispondere.Tutti e cinque gli interrogatori di garanzia dovrebbero comunque concludersi nella giornata di oggi.Dalla prossima settimana, invece, saranno sentiti altri sei ragazzini per i quali il giudice del Tribunale dei minori ha deciso l’affidamento in comunità; a seguire, infine, i cinque giovanissimi per i quali è stato disposto soltanto l’obbligo di permanenza in casa, senza contatti con persone diverse dai familiari più stretti.I 17 componenti della baby gang – un diciottesimo non risulta tra gli indagati perché ha meno di 14 anni e non è quindi imputabile – sono accusati a vario titolo di rapina, estorsione, furto aggravato, ricettazione, resistenza a pubblico ufficiale e lesioni.I baby delinquenti avevano creato attorno a loro un clima di terrore, in particolare tra i coetanei. La banda spadroneggiava soprattutto in centro a Como, ma in qualche caso ha colpito anche fuori dal capoluogo. Fermati più volte dalle forze dell’ordine, non esitavano a insultare, prendere in giro e persino minacciare poliziotti e carabinieri.Fino a tre giorni fa, a mercoledì scorso, quando sono rimasti in silenzio davanti all’ordinanza che li ha fermati.

  • Bivacco per lo spaccio a Fino  Mornasco: carabinieri in azione

    Bivacco per lo spaccio a Fino Mornasco: carabinieri in azione

    I carabinieri di Fino Mornasco hanno smantellato un nuovo bivacco, in una zona boschiva, utilizzato per lo spaccio di sostanze stupefacenti. I militari dell’Arma sono intervenuti in località Campagnola e, in una tenda, hanno scoperto quasi 100 grammi di hashish e 1,3 grammi di cocaina, oltre a materiale per il confezionamento delle dosi. La droga è stata sequestrata dalle forze dell’ordine e il bivacco è stato prontamente smantellato. Resta alta l’attenzione dell’Arma ed è costante l’impegno nella prevenzione e nel contrasto a questo genere di reati. I carabinieri invitano i cittadini lariani a segnalare ogni episodio ritenuto sospetto.

  • Baby gang: ecco come agiva la banda. Ed emerge anche il ruolo di alcune madri

    Baby gang: ecco come agiva la banda. Ed emerge anche il ruolo di alcune madri

    Scene di vita quotidiana, nelle giornate della baby gang comasca sgominata dal blitz congiunto della squadra Mobile di Como e dei carabinieri.Sono le ore 18 del 18 settembre. Due ragazzi sono in un fast food del centro. Tre componenti della gang li avvicinano con fare minaccioso.Le due vittime si allontanano, raggiungono piazza Cavour. Vengono però inseguite e accerchiate da almeno otto minorenni, tra cui pure un 13enne. Minacciano di avere coltelli e lame nelle tasche. Riescono ad impossessarsi di 10 euro, ma le vittime fuggono ancora in via Macchi, poi in piazza Grimoldi e raggiungono la fermata dell’autobus che li “salva”.Quello citato è solo uno dei tantissimi episodi – nemmeno il più grave – contestato a vario titolo ai 17 ragazzi minorenni residenti tra Como (la maggior parte, 11), Montano Lucino (due), Lipomo, Capiago, Cantù e Cernobbio, colpiti dalle misure restrittive eseguite nella mattina di mercoledì.Un fatto che però racconta bene il modo di agire della banda: sempre in più persone, mai meno di quattro o cinque, individuavano la vittima, la circondavano, le strappavano ciò di cui riuscivano a impossessarsi minacciando di avere coltelli, intimavano di non chiamare le forze dell’ordine e poi fuggivano. Tutto in pochi minuti. E chi non soggiaceva alle richieste, veniva avvertito: «Qui finisce male… sai cosa vuol dire».Quando invece ad essere preso di mira era un negozio, le modalità cambiavano. Il gruppo entrava in forze, creando confusione: qualcuno distraeva il titolare mentre gli altri della banda si intascavano quello che volevano o che potevano tra la merce esposta .In almeno due casi emerge poi il ruolo dei genitori, in particolar modo delle madri. Il primo – che ha un risvolto positivo, perché se non altro ha permesso di risalire al responsabile di un furto – è del 26 luglio all’Esselunga di Camerlata. Un ragazzo viene fermato dopo un colpo da pochi euro, con la merce nascosta dentro lo zaino. Il giovane fugge lasciando sul posto la sacca. All’interno c’è però la tessera sanitaria della madre del ragazzo che viene contattata. Sentita dalle forze di polizia, ammette di aver lasciato lei la tessera al figlio per permettergli l’acquisto delle sigarette nonostante non avesse l’età minima richiesta.Il secondo episodio che riguarda una madre è relativo a un furto di accessori di marca in un negozio del centro città. A un amico di un componente della banda viene proposto di acquistare a 50 euro uno dei borselli rubati. La madre di uno dei ragazzi della baby gang – dichiarerà l’amico – lo contattò telefonicamente e pretese un incontro non per chiedere spiegazioni sul furto, bensì per rinfacciargli di aver pagato poco un oggetto di valore molto più elevato. Storie in alcuni casi davvero surreali, che passeranno ora al vaglio del giudice delle indagini preliminari che ha firmato l’ordinanza.Interrogatori che dovrebbero partire dalla giornata di domani.

  • Baby gang, il vescovo: «Quanto accaduto ci mette in discussione»

    Baby gang, il vescovo: «Quanto accaduto ci mette in discussione»

    «Un simile quadro non può non metterci in discussione, come adulti e come comunità educante».Il vescovo di Como, monsignor Oscar Cantoni interviene sull’operazione di polizia e carabinieri che ha permesso di smantellare la baby gang che per mesi ha seminato il panico nel capoluogo. E affida le sue riflessioni al Settimanale della Diocesi.«Sto seguendo con apprensione le notizie in merito alle indagini sulla baby-gang che per mesi, a Como, ha operato ai danni di tanti coetanei – scrive monsignor Cantoni – e sono molti gli aspetti che mi colpiscono della vicenda. Resto colpito, innanzitutto, dall’età, giovanissima, dei componenti del gruppo. E resto colpito dalla consistenza di quello che è stato definito “branco”. Diciassette ragazzi sono un’enormità – continua monsignor Cantoni – Quindi i motivi del loro agire: spaventare e acquisire potere… Ma che cos’è il potere nell’immaginario di un adolescente?». Una domanda che molti, probabilmente, si sono fatti in queste ore.«Un simile quadro non può non metterci in discussione, come adulti e come comunità educante. Non possiamo non interrogarci su quali siano i valori di riferimento della società contemporanea – conclude il vescovo di Como – È una preoccupazione che nutro pensando non tanto ai giovani, quanto a chi i giovani è chiamato ad accompagnare nel percorso di crescita umana. Questa è una vicenda che ci richiama alla responsabilità e che deve essere oggetto di seria e condivisa riflessione, a tutti i livelli e in tutti i contesti».Tavolo in ComuneIntanto il vicesindaco di Como, Alessandra Locatelli, ha annunciato per lunedì prossimo la convocazione a Palazzo Cernezzi di un tavolo sul disagio giovanile mentre il Pd chiede con la consigliera Patrizia Lissi di non chiudere i centri di aggregazione attivi in città e anzi di potenziarne i mezzi e le attività.