Categoria: Cronaca

  • Le indagini sugli omicidi di Rimini e Mozzate: in cella anche lo zio di Demiraj

    Le indagini sugli omicidi di Rimini e Mozzate: in cella anche lo zio di Demiraj

    Nuova svolta nella vicenda degli omicidi di Mozzate e Rimini. Anche lo zio di Dritan Demiraj, un pescatore albanese di 50 anni residente in Romagna, è stato arrestato all’alba in esecuzione di una ordinanza di custodia cautelare in carcere. E’ accusato di aver aiutato Dritan a uccidere Silvio Mannina e a far sparire in seguito il cadavere, poi ritrovato seppellito in una palude.

    Mannina fu ucciso con il solo scopo di ottenere informazioni sulla ex di Dritan, Lidia Nusdorfi, poi freddata il giorno successivo nel sottopassaggio della stazione di Mozzate. Già in cella per questa vicenda di sangue ci sono il 29enne pasticcere albanese e la sua compagna, Monica Sanchi.

  • Colpo con l’esplosivo fallito allo sportello bancomat di Luisago

    Colpo con l’esplosivo fallito allo sportello bancomat di Luisago

    Questa volta l’esplosivo evidentemente non era sufficiente per contrastare i sistemi di sicurezza passivi della cassa automatica.Assalto non riuscito, dunque, l’altra notte a uno sportello bancomat a Luisago, in località Portichetto.I malviventi, al momento ancora ignoti, hanno preso di mira il punto di prelievo della filiale locale della Banca Popolare di Milano in via Matteotti.Utilizzando materiale esplosivo, i ladri hanno cercato di fare saltare il forziere. La banca si trova sotto alcune abitazioni. In tutta la zona è stato udito chiaramente un forte boato.L’esplosivo però, come detto, non era sufficiente, il bancomat non si è aperto e i malviventi sono stati costretti a fuggire a mani vuote. Indagano i carabinieri per identificare i responsabili. Al vaglio dei militari dell’Arma anche le immagini del circuito di sorveglianza. A entrare in azione potrebbe essere stata la stessa banda che ha già effettuato colpi analoghi nel Comasco.

  • Due uomini arrestati a Cantù, avevano un mitragliatore da guerra in auto

    Due uomini arrestati a Cantù, avevano un mitragliatore da guerra in auto

    Arrestati due brianzoli. Nel bagagliaio della macchina avevano un mitragliatore da guerra. L’episodio risale ai giorni scorsi. I carabinieri del Radiomobile di Cantù hanno notato quattro persone nel posteggio di un supermercato della città. Il gruppetto chiacchierava con fare sospetto: avvicinati dai militari, gli uomini hanno detto che stavano discutendo per questioni sentimentali legati a una donna. Una banale scusa, che i carabinieri ovviamente hanno ignorato. E quando i militari hanno iniziato un controllo più approfondito, hanno notato che un uomo del gruppo stava cercando di disfarsi di un oggetto contenuto nel bagagliaio.L’oggetto in questione era un’arma molto potente: un mitragliatore calibro 5,50 della ditta elvetica Sig, un fucile d’assalto utilizzato in passato dall’esercito svizzero, completo di caricatore e 19 munizioni.L’arma, risultata rubata in Svizzera, stata sequestrata, mentre due uomini, di 45 e 50 anni entrambi residenti in provincia di Monza e Brianza, sono stato arrestati e portati al carcere Bassone con l’accusa di porto illegale e detenzione di arma da guerra.

  • In tre escono dal carcere e vanno ai domiciliari: «Esigenze cautelari attenuate»

    In tre escono dal carcere e vanno ai domiciliari: «Esigenze cautelari attenuate»

    I parenti degli imputati – che nelle precedenti udienze del processo avevano fatto parlare per applausi e tensioni con la presidente della Commissione Antimafia della Regione – ieri hanno ascoltato in silenzio la lettura del dispositivo della sentenza. Lacrime, abbracci, denti stretti ma nessuna esternazione sopra le righe. Non si è registrato alcun episodio degno di nota e l’aula si è svuotata senza problemi.

    A presidiarla c’erano comunque i carabinieri, la polizia e gli uomini della polizia giudiziaria. Difficile parlare di motivi per gioire in una sentenza da oltre 100 anni di pena complessiva, eppure i parenti di tre imputati un motivo per consolarsi l’avevano. Contestualmente alla lettura del dispositivo, il Collegio ha anche dato lettura di due ordinanze con cui la misura della custodia cautelare in carcere di Jacopo Duzioni, Valerio Torzillo e Emanuele Zuccarello è stata sostituita con gli arresti domiciliari. Non potranno tuttavia allontanarsi dalle rispettive abitazioni e non potranno comunicare in alcun modo con persone diverse dai rispettivi conviventi e dagli avvocati.

    Secondo i giudici di Como, ritenuto il periodo di custodia carceraria trascorso, «che ci si auspica abbia sortito effetto deterrente», e della «definizione del giudizio di primo grado», le esigenze cautelari sono attenuate. Il pubblico ministero Sara Ombra aveva comunque espresso parere contrario. Le istanze erano state presentate dai legali alla chiusura delle arringhe difensive.

  • La ’Ndrangheta a Cantù, condanne per oltre un secolo

    La ’Ndrangheta a Cantù, condanne per oltre un secolo

    Sì, la ’ndrangheta era attiva in pieno centro a Cantù, nelle serate del “Mercoledrink”, nei locali affacciati su piazza Garibaldi, tra i ragazzi che frequentavano le notti brianzole per divertirsi. In mezzo a loro si muoveva subdola la malavita organizzata di stampo calabrese. È questo quello che ha sancito il Collegio di Como con la sentenza letta ieri alle 10.53, dopo una camera di consiglio durata meno di un’ora. È stata a suo modo una giornata storica quella vissuta all’interno del palazzo di giustizia di Como. Nove condanne, tre per associazione di stampo mafioso, le altre per reati come estorsioni e pestaggi aggravati dal metodo mafioso. Le pene vanno da un massimo di 18 anni per Giuseppe Morabito, 32enne residente a Cantù, nipote del boss “U Tiradrittu”, fino ad un minimo di sette anni per Luca Di Bella, 28 anni, l’unico che ha potuto assistere a tutte le udienze del maxi processo comasco dal regime dei “domiciliari”.Nel mezzo, per un totale di anni che ha superato il secolo (101 per la precisione), è stata riconosciuta l’associazione anche al 46enne Domenico Staiti (16 anni e 6 mesi di reclusione) e al 23enne Rocco Depretis (16 anni e 4 mesi). Staiti, Depretis e Morabito sono stati riconosciuto dal Collegio come componenti del Locale di Mariano Comense.Agli altri imputati, cui non veniva contestata l’associazione ma l’aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso per compiere reati di vario tipo (tra cui le angherie nei confronti dei locali pubblici di piazza Garibaldi a Cantù e dei loro clienti), i giudici hanno inflitto pene più basse ma comunque importanti: 9 anni e 8 mesi ad Antonio Manno (23 anni), 9 anni e 8 mesi a Valerio Torzillo (24 anni), 8 anni e 8 mesi a Emanuele Zuccarello (29 anni), 7 anni e 8 mesi a Jacopo Duzioni (26 anni), 7 anni e 8 mesi ad Andrea Scordo (34 anni). Le multe complessive per i nove imputati hanno toccato la cifra di 79.500 euro.Si è concluso così un processo che fin dall’inizio si era fatto notare per essere “turbolento”, tanto che il presidente del Collegio aveva dovuto richiedere – dopo le prime udienze – la presenza in aula delle forze dell’ordine. Gli stessi imputati hanno poi seguito le udienze – tranne quella iniziale – collegati in videoconferenza dal carcere dove erano detenuti.Le richieste del pubblico ministero della Dda, Sara Ombra, erano state solo lievemente più alte, arrivando ad un totale di 113 anni. Ma l’impianto accusatorio è stato confermato nella sua interezza, compresa la tanto battagliata aggravante del metodo mafioso che secondo le difese non sussisteva.Il Collegio di Como si è preso novanta giorni per il deposito delle motivazioni della sentenza.Secondo quanto sostenuto dall’Antimafia di Milano, attorno ai locali di piazza Garibaldi a Cantù (Comune che non si è costituito parte civile, sollevando non poche polemiche) sarebbe andato in scena un tentativo esplicito di controllo delle attività economiche proprio da parte di soggetti che la sentenza di ieri ha sostenuto essere aderenti alla ’ndrangheta. Estorsioni, pestaggi, esplosioni di colpi di arma da fuoco, promesse di “protezione”, pure una gambizzazione che avevano come scopo l’accreditarsi come “controllori” delle attività commerciali nel centro della città. Le difese ovviamente non si fermeranno qui. La palla fin da ora è già pronta per essere passata all’Appello di Milano.

  • Cantù, la reazione di Morabito, il principale imputato: «Me l’aspettavo»

    Cantù, la reazione di Morabito, il principale imputato: «Me l’aspettavo»

    «Ci sentivamo già sul patibolo. Ce l’aspettavamo. Non avevamo grandi speranze». Pochi minuti dopo la sentenza che ha sancito la presenza in piazza Garibaldi della ’ndrangheta, Giuseppe Morabito, il principale imputato, colui per cui erano stati chiesti – e poi sono stati concessi – 18 anni di carcere, ha voluto parlare con il proprio avvocato Tommaso Scanio.Una telefonata ricevuta direttamente nell’aula della Corte d’Assise di Como dove era stato predisposto un sistema di comunicazione con le carceri dove i detenuti si trovavano per seguire le udienze.

    Così Morabito ha potuto parlare con l’avvocato per confrontarsi su quanto avvenuto poco prima.Nessuna sorpresa, tuttavia. «Ero sul patibolo, già lo sapevo che sarebbe andata così», avrebbe riferito all’avvocato Scanio che lo ha assistito nel corso del processo. «Le accuse per le risse ci stanno, e alcune le hanno anche ammesse, però noi continuiamo a non vedere l’associazione», ha aggiunto il legale. E su questo punto proseguirà la battaglia.Morabito è stato condannato per l’associazione di stampo mafioso con Domenico Staiti e Rocco Depretis. A pena espiata – come è stato deciso dai giudici – verranno sottoposti alla misura di sicurezza della libertà vigilata per la durata di tre anni.Il nipote del boss “U Tiradrittu” non si era sottratto – come tutti gli altri imputati – all’esame e alle domande dell’accusa.«Mio nonno l’ho visto solo in galera. Prima era latitante, poi lo arrestarono – aveva detto al Collegio – Negli ultimi mesi per tutti sono diventato ’ndranghetista, così mi dicono. Ma fino al giorno prima non avevo mai avuto problemi con nessuno. Ludovico Muscatello (il nipote del boss di Mariano, ndr)? Per me era un fratello, nel senso di un amico. L’ho visto crescere. Ma ero più amico di Mirko Pagani, il titolare della discoteca “Spazio”».

    Ovvero il locale che era anche il cuore delle attività notturne che ruotavano attorno a piazza Garibaldi e che, secondo la Dda, gli imputati volevano monopolizzare e controllare.

  • L’amarezza degli avvocati difensori «Nessun metodo mafioso»

    L’amarezza degli avvocati difensori «Nessun metodo mafioso»

    «Continua per noi il venerdì di passione», dice l’avvocato Ivana Anomali riferendosi alla giornata di ieri in cui è stata letta la sentenza di condanna.«Ma continueremo a portare la nostra croce sapendo che i fatti di cui abbiamo sentito parlare in quest’aula non hanno una connotazione mafiosa. Ne riparleremo in Appello».La voce dell’avvocato canturino che ha rappresentato Valerio Torzillo è la stessa che viene espressa da tutti gli altri legali delle difese. A partire da Tommaso Scanio, che ha rappresentato in aula il principale indagato, Giuseppe Morabito. «C’è grande amarezza – dice Scanio – Pensavamo di avere dato al Collegio una diversa e credibile lettura dei fatti che ci venivano contestati. L’unica nota lieta è l’abbassamento della pena per Andrea Scordo, rispetto a quanto era stato chiesto dal pm (7 anni e 8 mesi contro i 10 anni invocati dalla pubblica accusa nel corso della requisitoria,ndr)».«L’impianto accusatorio è stato confermato – prosegue l’avvocato di Morabito – ma secondo noi l’associazione era e rimane contestabile. Vorrà dire che sposteremo la nostra battaglia in Appello».Gianluca Crusco è stato invece l’avvocato di Emanuele Zuccarello. «Non doveva essere questo il risultato finale del processo – dice – Speravamo di aver insinuato dei dubbi anche e soprattutto per quanto riguarda l’aggravante del metodo mafioso, così purtroppo non è stato».Gaetano Cianciulli ha invece difeso Luca Di Bella, l’unico imputato che era giunto al processo essendo ai “domiciliari” e che è uscito dall’aula con la pena più lieve, seppur pesante (7 anni): «Puntavamo all’assoluzione – commenta l’avvocato – Cosa ha commentato il mio assistito subito dopo la decisione dei giudici? Era preoccupato. Il pm aveva chiesto 9 anni e 4 mesi, ne abbiamo presi 7 e c’è stato un piccolo “sconto” che conferma come la nostra posizione fosse più defilata rispetto alle altre. Però non volevamo questo, volevamo una sentenza di assoluzione».Antonio Manno è stato invece difeso dal legale Maurizio Gandolfi.«Leggeremo le motivazioni, ovviamente – commenta – La pena è severa (9 anni e 8 mesi, ndr). Del resto però se viene riconosciuta l’esistenza dei reati che ci venivano contestati le pene non possono essere che pesanti. Ma il punto è proprio questo: esistono questi reati? È giusto che il mio assistito sia stato riconosciuto responsabile? Per noi no perché in quest’aula non sono state portate prove. Vedremo ora cosa accadrà in Appello».Un filo conduttore che unisce tutte le difese: quelli di cui si è parlato «non erano atti a connotazione mafiosa». Il collegio di Como ha però deciso diversamente accogliendo nella quasi totalità le richieste della pubblica accusa.Ma lo scontro è già pronto a divampare nuovamente dopo una tregua di 90 giorni, quella necessaria ai giudici lariani per mettere nero su bianco le motivazioni che hanno portato al secolo di condanna per i nove imputati.

  • Arosio, terribile incendio in un appartamento di via Prealpi

    Arosio, terribile incendio in un appartamento di via Prealpi

    Un rogo spaventoso si è sviluppato giovedì sera in un’abitazione di via Prealpi ad Arosio. L’incendio è scoppiato in un appartamento al primo piano. L’allarme è scattato intorno alle 21. Sul posto i vigili del fuoco con due squadre da Cantù oltre a uomini e mezzi provenienti da Lomazzo, Appiano Gentile, Erba, Lecco e Carate Brianza. Un uomo, residente nell’immobile in fiamme, è stato subito soccorso e portato in ospedale per sospetta intossicazione. Evacuati in via precauzionale tutti i condomini, sarebbero due gli appartamenti inagibili (oltre a quello interessato dall’incendio anche quello al piano sopra).

  • Cirimido, in fiamme una catasta di legname

    Vigili del fuoco in azione dal primissimo pomeriggio di oggi a Cirimido per il rogo che si sprigionato da una catasta di legname all’interno di una proprietà privata di via Mazzini.

    Per l’intervento di soccorso tecnico urgente sono arrivate tre squadre dei vigili del fuoco dalle sedi di Como, Appiano e Lomazzo

  • Festa fuori controllo, i carabinieri chiudono bar di Turate

    Festa fuori controllo, i carabinieri chiudono bar di Turate

    Questa mattina i carabinieri della stazione carabinieri di Turate hanno notificato al titolare del “Maryrose’s Bar” di via Cavour, all’angolo con via Garibaldi, un provvedimento di sospensione dell’attività di pubblico esercizio per 15 giorni.

    La sospensione è stata decisa in seguito ai problemi di ordine pubblico avvenuti nella notte tra venerdì 12 e sabato 13 aprile per una festa organizzata dal locale.

    Come spiegano i carabinieri, a fronte di una promozione sul prezzo degli alcolici, nel bar erano arrivati circa 300 avventori, che hanno creato problemi alla circolazione e disturbo di un intero quartiere fino alle 3 di notte.

    Al titolare erano state contestate una serie di violazioni per il comportamento degli aventori che avevano inveito contro gli stessi carabinieri intervenuti per ripristinare l’ordine. Lo stop di 15 giorni dell’attività è stato fatto decorrere da ieri.